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Anno edizione: 2020
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Massimo Zamboni considera il viaggio per quello che è, una partenza verso una meta per conoscere e approfondire con diverse varianti ma includendo sempre un ritorno, il ritorno a casa, la sua amata montagna reggiana alla quale è legato con un filo invisibile e indissolubile. Quindi si potrebbe descrivere il viaggio dell’autore con un segno circolare, e paradossalmente anche la scrittura di questo libro, non so se voluta, pare avere un’esecuzione circolare. Infatti il nucleo seminale di questo testo nasce con il viaggio dei CSI (Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni) del 1996 e dal quale era nato In mongolia in retromarcia (scritto a quattro mani) e Tabula Rasa Elettrificata, ora a distanza di oltre ventanni Massimo Zamboni ritorna sul luogo del “delitto” con la figlia e anche questa volta scrive un libro a quattro mani e come allora non è un semplice progetto editoriale ma è un prodotto multimediale più complesso che comprende un disco e un documentario con la regia di Piergiorgio Casotti. Durante il primo viaggio Massimo Zamboni, oltre a ciò che ognuno di noi può andare a scoprire semplicemente leggendo o ascoltando l’autore, aveva cominciato a percepire il bisogno di diventare padre e al suo rientro questa possibilità si è fatta esigenza, dopo due anni nasce Caterina, alla nascita Caterina ha impressa una macchia bluastra all’altezza del coccige, in gergo viene chiamata macchia mongolica, una macchia che col tempo scomparirà e che la posseggono praticamente la totalità del popolo mongolo e una piccola parte di noi europei. Ovvio che al concepimento del diciottesimo anno di età Caterina freme per andare a conoscere quel luogo che tanto è stato importante per la crescita sociale della famiglia e va due volte, una con padre e madre nel 2016 e una seconda da sola nel 2017, da questi viaggi nasce il libro. La prima parte è scritta da Massimo Zamboni che riscrive e riordina il testo di In Mongolia in retromarcia e aggiunge un nuovo testo del ritorno molto intenso La
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