Max Frisch è stato uno scrittore svizzero di lingua tedesca. È noto soprattutto per le opere teatrali, che rivelano l’influsso di Brecht e di Thornton Wilder: E cantano ancora (Nun singen sie wieder, 1945), sul problema delle responsabilità dei crimini di guerra; La muraglia cinese (Die chinesische Mauer, 1946), una denuncia del sempre latente pericolo della dittatura; Don Giovanni o l’amore per la geometria (Don Juan oder die Liebe zur Geometrie, 1953), una delle sue opere più argute e raffinate; Omobono e gli incendiari (Herr Biedermann und die Brandstifter, 1953), «dramma didattico senza insegnamento» che smaschera la doppia morale del borghese; Andorra (1962), satira del pavido conformismo che rende possibile il trionfo del razzismo; Trittico (Triptychon, 1978), opera sulla morte intesa come metafora di una vita irrigidita e incapace di trasformarsi, in cui F. si allontana dal teatro-parabola brechtiano e trae ispirazione dalla drammaturgia beckettiana. Nei suoi romanzi, fra cui Stiller (1954), Homo faber (1957), Il mio nome sia: Gantenbein (Mein Name sei Gantenbein, 1964), ha esplorato il tema dell’alienazione dell’uomo moderno, ma tutta la sua opera, nella quale si alternano toni saggistici e spunti di comicità grottesca, è centrata sul rapporto fra individuo e collettività e sulla tragica sopraffazione di cui il singolo è vittima. Nella narrativa ha poi prevalso l’impronta autobiografica, ben percepibile nei romanzi Montauk (1975), L’uomo nell’olocene (Der Mensch erscheint im Holozän, 1979) e Barbablù (Blaubart, 1982). Negli ultimi anni, abbandonata l’attività letteraria, è intervenuto spesso nel dibattito sull’identità nazionale svizzera con interviste, discorsi e testi, tra i quali il dialogo Svizzera senza esercito? Una chiacchierata rituale (Schweiz ohne Armee? Ein Palaver, 1988).