Rimasto in tenera età orfano del padre, che era un alto funzionario della Compagnia delle Indie Orientali, studiò alla Charterhouse School di Londra e a Cambridge, senza però completare i corsi universitari. Dopo alcuni viaggi sul continente, tentò la carriera forense, che poi abbandonò per recarsi a Parigi dove studiò disegno, iniziando al tempo stesso una intensa attività giornalistica. Appunto a Parigi incontrò e sposò, dopo un breve fidanzamento, la diciannovenne Isabella Shawe, prototipo di molte dolci e indifese figure femminili che appaiono nei suoi romanzi. Tornato in Inghilterra nel 1837, pubblicò articoli e romanzi su vari giornali, tra cui la serie di bozzetti Le carte di Yellowplush (The Yellowplush papers, 1838) per la rivista «Fraser’s magazine». Intanto la salute della moglie era andata declinando e nel 1840 si manifestò una grave forma di malattia mentale che la confinò per il resto della sua vita in un manicomio. La drammatica fine del suo matrimonio costituisce l’episodio centrale e fondamentale della vita di T., insieme al suo tenerissimo rapporto con la madre. Nel 1842 iniziò la collaborazione al giornale umoristico «Punch», con una serie di articoli e schizzi satirici intitolata Gli snob inglesi visti da uno di loro (The snobs of England by one of themselves), raccolti poi nel volume Il libro degli snob (The book of snobs, 1855), che rappresenta una spietata e minuziosa denuncia delle menzogne sociali e dei difetti umani. Al romanzo Barry Lindon (The luck of Barry Lindon, 1844; edizione definitiva: The memoirs of Barry Lindon, 1856) seguì l’opera cui è indissolubilmente legata la sua fama: La fiera delle vanità (Vanity fair, 1848). Straordinario quadro satirico della vita inglese del primo Ottocento, il romanzo rappresenta in modo sottilmente complesso, attraverso le vicende parallele delle due protagoniste (l’astuta arrivista Becky Sharp, una figura divenuta emblematica, e la virtuosa quanto ingenua e insipida Amelia Sedley), le colpe di una società che premia solo l’ipocrisia. Meno inquietanti, anche se ricche di pregi, le opere successive: i romanzi semiautobiografici Pendennis (1848-50) e La famiglia Newcome (The Newcomes, 1853-55); e gli ambigui e raffinatissimi romanzi storici, ambientati nel primo Settecento, Henry Esmond (1852) e il suo seguito, I virginiani (The virginians, 1857-59). Scrittore aspro e amaro, T. accettò tuttavia i limiti imposti al realismo della sua visione dal rispetto delle convenzioni vittoriane: la sua satira rimane così pervasa dall’esigenza moralistica di una correzione dei costumi all’interno dell’etica borghese. Forse è a causa di questo compromesso di fondo che, nonostante le sue grandissime doti di scrittore, la maestria nella creazione dei caratteri, la padronanza del linguaggio e dello stile, T. non riuscì mai a stabilire con i suoi lettori un rapporto così immediato come quello del suo grande rivale Ch. Dickens.