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Todorov centra appieno uno dei problemi più attuali tra la letteratura e la sua relazione con il mondo: il modo in cui è insegnata, percepita, e l'immagine che la società ha della letteratura stessa. Più un'opera in difesa della letteratura che un'analisi di contesti e scenari. L'autore ci mette molto di umano e personale, e quanto meno possibile di formale. Un libro che farà bene a coloro che ancora devono convincersi della forza della letteratura, perchè magari non hanno mai avuto esperienze marcanti a riguardo. Anzi, secondo me l'ha scritto proprio per tutti i tipi lettori, perciò l'ha fatto breve ma diretto, secondo una scelta che ne giustifica e supporta i contenuti.
Bellissimo libro. Un pensatore che ha attraversato tutta la vicenda critica del Novecento ci illumina nuovamente sul vero significato della letteratura. La letteratura parla di noi, della nostra carne, dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni, dei nostri pensieri; e facendo questo la grande letteratura ci apre la mente verso mondi nuovi, verso prospettive diverse, verso verita' profonde. Solamente cosi' la letteratura trova il suo significato, piu' vero di quello della filosofia, perche' piu' nostro, piu' vicino, piu' comprensibile dalla nostra pelle.
Un libro eccezionale. Restituisce la letteratura ai lettori... spiega con chiarezza e passione che la letteratura è passione all'umano e non oggetto esclusivo dei metodi di analisi. Critica l'impoverimento di una letteratura ripiegata sull'io, sul nichilismo e sulla forma. E' vero: la letteratura arricchisce infinitamente. Da non perdere!
Recensioni
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"Verso il 1970, scriveva nel 1998 Antoine Compagnon, discepolo di Barthes e saggista tra i più autorevoli della Francia di oggi la teoria letteraria era al culmine del successo ed esercitava una forza d'attrazione immensa sui giovani della mia generazione. Sotto diversi nomi nouvelle critique, poetica, strutturalismo, semiologia, narratologia era al colmo del suo splendore. Chi ha vissuto quegli anni fantastici non può non ricordarli con nostalgia. Oggi non è più così. La teoria si è istituzionalizzata. Si è trasformata in metodo, ed è diventata una tecnica pedagogica spicciola, spesso non meno arida di quella explication du texte che allora i suoi sostenitori prendevano brillantemente in giro".
Molto prossima alla diagnosi di Compagnon è la tesi di questo recente pamphlet di Todorov, grido d'allarme sul dilagare di un insegnamento letterario che della letteratura rischia di perdere di vista l'essenziale, cioè il rapporto con la realtà, per votarsi con burocratica cocciutaggine alla corretta definizione "scientifica" di elementi e funzioni formali. Questo avviene quando l'analisi linguistica o narratologica dei testi, insostituibile come strumento, comincia a essere considerata non più un mezzo, ma un fine. Percorse a caccia di "funzioni di Jacobson" e di "attanti di Greimas", le pagine di Kafka o di Proust sembrano smarrire ogni punto di contatto con la storia del pensiero europeo, ogni capacità di indurre il lettore a riflettere su se stesso. È proprio quel che si verifica, secondo Todorov, nelle scuole superiori francesi (in quelle italiane il fenomeno è certamente più limitato). Direttive ministeriali redatte in tono piuttosto dogmatico danno per scontato che gli studi letterari abbiano "lo scopo principale di farci conoscere gli strumenti di cui si servono"; di conseguenza "a scuola non si apprende che cosa dicono le opere, ma che cosa dicono i critici". Estensori di programmi, docenti universitari, insegnanti, tutti concordano nel rappresentare l'opera letteraria "come un oggetto linguistico chiuso, autosufficiente, assoluto", che va studiato esclusivamente secondo la propria logica interna.
In un excursus autobiografico che è forse la cosa più godibile dell'intero volumetto, Todorov non dissimula affatto il proprio ruolo nel movimento culturale che ha condotto, a partire dagli anni sessanta, al prevalere di questa visione autoreferenziale della letteratura. Un ruolo determinato, originariamente, da contingenze politiche. È infatti per sfuggire alla cappa opprimente del marxismo di stato che il giovanissimo Todorov adotta per la sua tesi di laurea, nella natia Sofia, un metodo rigorosamente formalista. Quando approda ventiquattrenne alla Sorbona, nel 1963, i suoi primi passi non sono facili: gli studi di carattere teorico che vorrebbe intraprendere non hanno ancora uno statuto ufficiale, e non manca chi gli addita caritatevolmente nella letteratura bulgara il solo terreno di una sua possibile specializzazione. Il colpo di scena è dato dall'incontro con un giovane assistente, Gérard Genette, che accompagna il suo nuovo amico al seminario di un professore dell'École des hautes étudesil cui marxismo non somiglia per nulla a quello dei burocrati bulgari: Roland Barthes. Conseguito il dottorato sotto la guida di Barthes, Todorov si affermerà come uno dei protagonisti di quella stagione della teoria letteraria che Compagnon definisce "fantastica"; nel 1965 la sua antologia dei formalisti russi (che Einaudi pubblicherà nel 1968) , pur presentando testi dei remoti anni venti, diventerà un punto di riferimento ineludibile per ogni dibattito sull'estetica del Novecento.
Se alla fine degli anni sessanta era quasi impossibile non citare Todorov (o almeno i suoi formalisti russi), oggi è altrettanto difficile non essere in linea di massima d'accordo con lui: come negare che la letteratura sia un "discorso sul mondo", che ci aiuti a riconoscere ed esprimere i nostri sentimenti, che possa "trasformarci nel profondo"? Non sembra però probabile che affermazioni di una così imbarazzante genericità possano davvero insidiare quella visione autoreferenziale della letteratura cui Todorov giustamente si oppone. Meglio rivolgersi, per un antidoto efficace, a qualcuno dei critici che del rapporto tra forme letterarie e realtà storica hanno fatto da tempo il loro terreno di lavoro. Penso, per fare soltanto tre esempi, a Francesco Orlando, che nel tema degli oggetti desueti ha ravvisato la cattiva coscienza dell'età industriale; a René Girard, che nel romanzo ottocentesco ha saputo decifrare i geroglifici del desiderio moderno; a Franco Moretti, che ha riconosciuto nel "flusso di coscienza" un "modo di far fronte all'agitazione metropolitana". Mariolina Bertini
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