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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2016
Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Romanzo struggente: ci rivela una realtà che non viene mai sviscerata abbastanza.... Personaggi reali , vividi , multisfaccettati.
Durante la seconda guerra mondiale non furono deportati soltanto gli ebrei, ma anche gli zingari. Rinchiusi in campi di concentramento e disprezzati anche dagli altri prigionieri furono sterminati e i loro bambini sottoposti ad esperimenti pseudoscientifici dal dottor Menghele ad Auschwitz. Il libro racconta la sofferenza patita da questa etnia, spesso dimenticata persino in sede risarcitoria (la Germania risarcí infatti le famiglie ebree, ma non i rom) attraverso la vicenda di Malika, una ragazzina di quindici anni deportata prima ad Auschwitz insieme alla cugina e al fratellino (vittima di esperimenti da parte di Menghele) e poi trasferita a Ravensbrück. A seguito di un trasferimento in treno il vestito della ragazza si strappa e allora lei decide di impossessarsi di quello di una ragazza ebrea deceduta durante il viaggio: Miriam. A partire da quel momento Malika diventa Miariam e nasconde le sue origini (senza mai dimenticarle) non solo nel campo di sterminio, ma anche per il resto della sua vita, trascorsa in una ridente cittadina svedese. Proprio in occasione del suo ottantacinquesimo compleanno decide finalmente di raccontare il suo inconfessato e inconfessabile segreto alla nipote. Una storia dolorosamente avvincente rappresentata da una penna a dir poco efficace. Consigliatissimo.
Un libro davvero tosto da leggere.Necessario soprattutto per i più giovani e dolorosissimo per i più adulti.In particolare la parte in cui Miriam parla di Didi è quasi inaffrontabile. Eppure, seppur sia narrativa, sono avvenimenti realmente accadute.E il bestiale medico realmente esistito ( e aimé mai catturato,morto tranquillamente in america latina ). Come esistito è l' olocausto dei Rom. Un tema meno affrontato di quello ebraico e quindi ancor più necessario da diffondere.Un testo che va proposto nelle scuole. Malika/Miriam non si dimentica.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Io non mi chiamo Miriam è un libro che parla di opportunità. E di scelte. Del momento in cui, scesa dal treno, Malika, la bambina rom, diventa Miriam, la ragazza ebrea. E del gusto speciale che ha una mela quasi marcia, raccolta da terra mentre cammina in fila, in silenzio, con altre decine di uomini e donne verso l’ingresso di un campo di concentramento.
È la storia della vita di una donna vissuta da un’altra. Del coraggio di sopravvivere quando intorno tutto muore: l’umanità, un padre, la dignità, l’amatissimo fratello Didi, la coscienza, l’amica Else, che le ha offerto un posto nel suo letto e le ha insegnato lo svedese.
Della forza di non ricordare che è esistito “un prima”, felice. Della gratitudine di poter vivere un “dopo”, anche se in un paese straniero, dove è arrivata salendo su un treno che ancora il caso le ha assegnato.
Il libro si apre su Miriam un’anziana signora svedese, è vedova, ha un figlio e una nipote. Ha vissuto una lunga vita. Non ha mai detto a nessuno la verità.
Così, il giorno del suo 85esimo compleanno, svelando il suo segreto, ci trascinata nell’abisso terrificante del suo passato nei lager, nella descrizione minuziosa del trascorrere delle giornate, nella brutalità con cui venivano trattate le prigioniere; gli esperimenti di Mengele sui bambini, il pane e segatura come unico pasto, le camere a gas.
E poi ci mostra il dopo: la libertà che pesa; la paura che non va mai via, anche in un paese sicuro che non ha visto gli orrori della guerra; il non sentirsi mai a casa, anche tra le braccia di un marito amato; l’angoscia costante di essere scoperta una bugiarda che ha tradito il suo popolo, i ROM.
La storia di Miriam si intreccia con la Storia.
Pervade il libro la sensazione struggente di lotta per la sopravvivenza a tutti i costi, una lotta con le unghie e con i denti. Lascia sgomenti l’idea che una volta ottenuta la libertà Miriam si senta perduta ed estranea. Sente che ha perso la sua identità. Sa che è il prezzo che ha pagato per avere in cambio una vita da vivere. Stride il contrasto tra la vita vissuta da Miriam e quelle dei suoi cari, il figlio, la nipote, le nostre vite vissute pacificamente al sicuro, così lontane dalla sua disumana esperienza.
Recensione di Teresa Zitarosa
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