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Nicoletti racconta una realtà che vive dall'interno e con cui si confronta da una vita. Estremo e polemico in molti punti, condivisibile e toccante in altri, si conferma uno scrittore fuori dagli schemi e dalle convenzioni. Non è un libro di facile lettura e forse non è per tutti, anche perché racconta una realtà condivisa da molte famiglie ma che restano pur sempre una minoranza, ma resta pur sempre una delle tante facce dell'autismo.
Il libro è scritto da Gianluca Nicoletti, che convive da anni con un figlio autistico ed è la storia della scoperta dello stesso autore del libro di avere la stessa malattia del figlio, certamente un autistico molto diverso dal figlio. L'autore, secondo i test che hai eseguito è un autistico ad alto funzionamento intelligente e che può vivere senza problemi nel mondo. In seguito alla diagnosi dell'autismo, rivede la propria vita e comincia ad interpretare meglio certi suoi comportamenti. Quello che ci racconta Nicoletti è che abbiamo tutti qualcosa di anormale dentro di noi e pertanto dobbiamo imparare a rispettare le differenze degli altri che si comportano in modi che potrebbero anche non essere tanto diversi da noi.
Recensioni
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Gianluca Nicoletti è uno che sulla comunicazione ha costruito la sua intera carriera. Massmediologo, giornalista, precursore dell’avvento del digitale in Rai, durante la settimana all’ora di pranzo discute degli argomenti più disparati con gli ascoltatori di Radio 24. Eppure a lui la gente non è che vada così a genio: da piccolo amava rifugiarsi sugli alberi per raccontarsi storie, quando intuisce che le parole del suo interlocutore non gli interessano si distrae o lo interrompe, e invece di guardarlo negli occhi preferisce focalizzarsi sui bottoni della sua giacca. Sono comportamenti dietro i quali, a 63 anni suonati, è finalmente riuscito a trovare una ragione scientifica: così come suo figlio Tommy, anche lui è autistico. E non si scherza mica, non è una provocazione — in fondo al suo nuovo libro, Io, figlio di mio figlio, è possibile trovare il referto del medico con tanto di lastre al cervello. La diagnosi è inequivocabile: sindrome di Asperger.
Ecco che allora il titolo del suo blog rivolto ai genitori di figli da lui definiti “un po’ matti”, Per noi autistici, assume tutto un altro significato. Nicoletti è infatti uno che sull’autismo scrive da tempo, ma questa volta lo fa da un punto di vista incredibilmente intimo e personale. Si rifiuta di farsi portavoce sindacale di quei genitori, non è né vuole essere il loro capo-branco. La sua è una pura e semplice testimonianza, pur con tutto il peso che inevitabilmente gli verrà affibbiato dal suo prestigio e con tutte le critiche che prevedibilmente gli pioveranno addosso. Ma tant’è, come lui stesso afferma ha smesso di preoccuparsi di ciò che la gente pensa di lui. Proprio come Tommy.
Per mezzo della sua penna agile e anarchica, il giornalista si mette completamente a nudo, nel suo caratteristico flusso di pensieri torrenziale ma programmato. Sciorina aneddoti di vita vissuta (tra cui spicca la denuncia alla Televisione di Stato per il suo allontanamento nel 2004), prese di posizione ben precise al movimento anti-vaccini e visioni pessimistiche sull’integrazione dei cosiddetti “cervelli ribelli” nella realtà “neurotipica”. Allo stesso tempo, in uno slancio se non ottimistico per lo meno timidamente speranzoso, spiega perché gli autistici costituiscono un passaggio evolutivo necessario verso un futuro non immediato in cui si avrà sempre più bisogno di loro.
La sua consueta ironia, in queste pagine pungente e provocatoria come non mai, non manca, ma fa da cornice alla domanda drammatica con cui ogni genitore di figli “sbarellati” è costretta a fare i conti ogni giorno: “cosa ne sarà di loro quando noi non ci saremo più?” È proprio qui che si gioca tutta la gravitas del lavoro, tra la confessione di pensieri inconfessabili e una nuova consapevolezza, raggiunta a più di 60 anni. Quella che senza Tommy e la serenità di quelle serate spese a “casa papà” a guardare La Sirenetta su un iPad di prima generazione, Nicoletti sarebbe probabilmente sempre lo stesso ma più “scoglionato” e più rassegnato, in breve più vecchio. Il “superpotere”, come lo chiama lui, donatogli da quel gigante riccioluto del figlio che indossa sempre pantaloni mimetici e magliette colorate, è l’ipergioventù. Un’àncora che lo tiene attaccato al presente e che gli fa scrivere libri necessari come Io, figlio di mio figlio.
Recensione di Alessandro Schirano
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