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Le intermittenze della morte - José Saramago - copertina
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Le intermittenze della morte
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Le intermittenze della morte - José Saramago - copertina
Le intermittenze della morte - José Saramago - 2

Descrizione


«Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, contrario alle norme della vita, causò un enorme turbamento.»

Un paese senza nome, 31 dicembre, scocca la mezzanotte. E arriva l'eternità, nella forma più semplice e quindi più inaspettata: nessuno muore più. La gioia è grande, la massima angoscia dell'umanità sembra sgominata per sempre. Ma non è tutto così semplice: chi sulla morte faceva affari per esempio perde la sua fonte di reddito. E cosa ne sarà della chiesa, ora che non c'è più uno spauracchio e non serve più nessuna resurrezione? I problemi, come si vede, sono tanti e complessi. Ma la morte, con fattezze di donna, segue i suoi imprendibili ragionamenti: dopo sette mesi annuncia, con una lettera scritta a mano, affidata a una busta viola e diretta ai media, che sta per riprendere il suo usuale lavoro, fedele all'impegno di rinnovamento dell'umanità che la vede da sempre protagonista. Da lì in poi le lettere viola partono con cadenza regolare e raggiungono i loro sfortunati (o fortunati?) destinatari, che tornano a morire come si conviene. Ma un violoncellista, dopo che la lettera a lui indirizzata è stata rinviata al mittente per tre volte, costringe la morte a bussare alla sua porta per consegnarla di persona.

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Dettagli

2013
Tascabile
24 gennaio 2013
224 p., Brossura
9788807881350
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Indice


Le prime frasi

Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr'ore, fra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato. Neppure uno di quegli incidenti automobilistici tanto frequenti nelle occasioni festive, quando l'allegra irresponsabilità e l'eccesso di alcol si sfidano reciprocamente sulle strade per decidere chi riuscirà ad arrivare alla morte al primo posto. Il passaggio dell'anno non aveva lasciato dietro di sé il solito rigagnolo calamitoso di morti, come se la vecchia atropo dalla dentatura digrignata avesse deciso di inguainare la forbice per un giorno. Sangue, però, ce ne fu, e non poco. Allucinati, confusi, accorati, a stento dominando la nausea, i pompieri estraevano dall'amalgama dei rottami miseri corpi umani che, secondo la logica matematica delle collisioni, sarebbero dovuti essere morti e stramorti, ma che, nonostante la gravita delle ferite e dei traumi subiti, erano ancora vivi e così venivano trasportati negli ospedali, al suono delle dilaceranti sirene delle ambulanze. Nessuna di quelle persone sarebbe morta strada facendo e tutte avrebbero smentito le più pessimistiche prognosi mediche, Per questo povero diavolo non c'è niente da fare, non varrebbe neanche la pena di perdere tempo a operarlo, diceva il chirurgo all'infermiera mentre quest'ultima gli accomodava la mascherina sul viso. Realmente, forse non ci sarebbe stata salvezza per il poverino il giorno precedente, ma era del tutto chiaro che la vittima si rifiutava di morire in questo. E quanto accadeva qui, accadeva in tutto il paese. Fino alla mezzanotte in punto dell'ultimo giorno dell'anno ci fu ancora gente che accettò di morire nel più fedele ossequio alle regole, sia quelle che si riferivano al nocciolo della questione, cioè, il concludersi della vita, sia quelle che attenevano alle molteplici modalità di cui esso, il suddetto nocciolo della questione, con maggiore o minor pompa e solennità, usa rivestirsi quando arriva il momento fatale. Un caso fra tutti interessante, ovviamente trattandosi di chi si trattava, fu quello dell'anzianissima e veneranda regina madre. Alle ore ventitré e cinquantanove minuti di quel trentuno dicembre nessuno sarebbe stato tanto ingenuo da scommettere un soldo bucato sulla vita della real signora. Perduta ogni speranza, arresisi i medici all'implacabile evidenza, la famiglia reale, gerarchicamente disposta intorno al letto, aspettava con rassegnazione l'estremo sospiro della matriarca, forse qualche parolina, un'ultima sentenza edificante analizzata alla formazione morale degli amati principi suoi nipoti, forse una bella e schietta frase all'indirizzo della sempre ingrata memoria dei sudditi venturi. E poi, come se il tempo si fosse fermato, non accadde nulla. La regina madre non migliorò né peggiorò, rimase lì come sospesa, dondolando il fragile corpo sul bordo della vita, a ogni istante minacciando di cadere dall'altro lato, ma legata a questo da un tenue filo che la morte, poteva essere soltanto lei, non si sa per quale strano capriccio, continuava a tenere. Eravamo ormai passati al giorno seguente, e in quello, come si è informato subito all'inzio di questo racconto, nessuno sarebbe morto.
Era già pomeriggio piuttosto inoltrato quando cominciò a correre la voce che, dall'inizio del nuovo anno, più precisamente dall'ora zero di questo primo gennaio in cui ci troviamo, non risultava che fosse occorso in tutto il paese un solo decesso. Si potrebbe pensare, per esempio, che la diceria avesse avuto origine nella sorprendente resistenza della regina madre a desistere da quel po' di vita che ancora le restava, ma la verità è che l'abituale bollettino medico diramato dall'ufficio stampa del palazzo ai mezzi di comunicazione sociale non solo assicurava che lo stato generale dell'inferma aveva presentato visibili miglioramenti già durante la notte, ma addirittura suggeriva, addirittura dava a intendere, scegliendo accuratamente le parole, la possibilità di un completo ristabilimento dell'importantissima salute. Nella sua prima manifestazione la voce poteva anche essere uscita con la massima naturalezza da un'agenzia di pompe funebri e traslazioni, A quanto pare nessuno sembra esser disposto a morire il primo giorno dell'anno, o da un ospedale, Quel tipo del letto ventisette non vuole davvero crepare, o magari dal portavoce della polizia stradale, È un vero e proprio mistero che, con tanti incidenti che ci sono stati sulla strada, non ci sia almeno un morto a titolo di esempio. La diceria, la cui fonte primigenia non venne mai scoperta, senza peraltro, alla luce di quanto sarebbe successo in seguito, che ciò importasse molto, non tardò ad arrivare ai giornali, alla radio e alla televisione, e fece rizzare immediatamente le orecchie a direttori, vice e capiredazione, persone non solo preparate a fiutare a distanza i grandi avvenimenti della storia del mondo, ma anche addestrate a ingigantirli ancora di più ogni qualvolta sia conveniente. Nel giro di pochi minuti c'erano già per la strada decine di cronisti investigativi a far domande a chiunque gli capitasse davanti, mentre nelle brulicanti redazioni le batterie dei telefoni si agitavano e vibravano nella stessa identica frenesia investigativa.

Valutazioni e recensioni

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Andrea
Recensioni: 5/5
Molto interessante

Primo libro che leggo di Saramago, l'ho scelto per la curiosità della trama. Stile di scrittura molto particolare, senza utilizzo di punteggiatura. Ciò nonostante, la lettura risulta scorrevole e accattivante. Molto interessante il tema trattato e l'originalità dei contenuti. ne consiglio la lettura.

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Claudia
Recensioni: 5/5
Bellissimo e particolare

La morte, che gran simpaticona!

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MayBeMary
Recensioni: 4/5
Libro molto particolare

Primo libro che leggo di Saramago incuriosita dal tema trattato, morte e immortalità. Inizialmente sconcertata dallo stile di scrittura dell'autore sono poi riuscita, nel proseguio della lettura, a godermi appieno il libro. A me è piaciuto

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Recensioni

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Voce della critica

È la nostra più grande paura e la nostra più grande certezza, eppure si firma “morte”, con la emme minuscola, perché anche lei deve rispettare una gerarchia. Sa di non essere il peggiore dei mali, la fine di tutto, il buio assoluto, così come sa che la sua falce non ha il potere né il dovere di agire su ogni specie.
A ciascuno il proprio epilogo, a ciascuno la propria morte.

Saramago, dopo Cecità e Saggio sulla lucidità, torna con un altro curioso e grottesco esperimento mentale, in un paese senza nome che, semplicemente, smette di morire. La gioia è breve, la conquista effimera: si continua a soffrire, si continua a invecchiare, si continua a nascere in uno spazio che, all'improvviso, appare troppo stretto, troppo poco pronto a sostenere l'immortalità e l'impatto economico, sociale, filosofico che questa ha sugli uomini e le loro anime. Non esulta chi è costretto ad affidarsi alla maphia per oltrepassare il confine ed emettere l'ultimo  respiro, chi si ritrova sospeso tra la vita e l'aldilà, in un limbo d'interminabile agonia, chi deve gestire l'emergenza e impedire il collasso. La sconfitta della nera mietitrice assume le fattezze di una crudele condanna, per i deboli e per i potenti, per i giovani e per gli anziani, per i giusti e per i rei, mentre l'autore ci contagia con un'idea: e se la nostra più grande paura fosse la nostra più grande necessità? Se il problema non fosse racchiuso nella sua esistenza, ma nella sua crudele imprevedibilità?
La morte, con la emme minuscola, ha, perciò, una nuova soluzione, quella di annunciarsi con garbo, una settimana prima di sopraggiungere, attraverso una lettera viola che non si può restituire, buttare o ignorare, un segnale per sistemare gli affari in sospeso, fare testamento, salutare gli affetti, prepararsi alla dipartita. Eppure, la turbolenta relazione tra noi e lei non si appiana, anzi, s'inasprisce. Gli uomini non vogliono sapere, non vogliono non sapere, non vogliono morire, non vogliono non morire. Cosa vogliono?
Nel momento in cui i lettori cominciano a porsi il problema, una lettera, un'unica lettera, torna al mittente, una, due, tre, quattro volte, e un violoncellista sfida, inconsapevole, lo scheletro che, protetto dal sudario d'ordinanza, si è reinventato postino. Piccola e fallibile, la scaltra protagonista inizia a starci simpatica; avvolta nella pelle, nei vestiti, nel profumo, nella vulnerabilità di una donna, che osserva, che conosce, che si confronta col rimorso e con l'amore, ci conquista.
L'esperimento termina così com'era cominciato, con una pennellata di assurdo e il Caos alle porte. La morte si perde tra le proprie vittime, diventando una di esse, e torna a latitare; le leggi della natura si sovvertono e risovvertono per scandire, ironicamente, favolisticamernte, senza ambire alla verosimiglianza, una critica contro la società moderna, un commento beffardo alla schizofrenia dei nostri desideri, tesi verso un'eternità che nulla può rivelarsi se non la scoperta della nostra nuda fragilità.

Recensione di Angelica Cremascoli
A cura del Master in Editoria dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori

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Conosci l'autore

José Saramago

1922, Azinhaga

Narratore, poeta e drammaturgo portoghese, ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1998. Costretto a interrompere gli studi secondari fece varie esperienze di lavoro prima di approdare al giornalismo che ha esercitato con successo su vari quotidiani. Dopo il romanzo giovanile Terra e due libri di poesia caratterizzati da una forte sensibilità ritmico-lessicale, si è rivelato acquistando fama internazionale con un'originale produzione narrativa in cui rielaborazione storica e immaginazione mistica e allegorica, realtà e finzione si mescolano in un linguaggio tendenzialmente poetico e vicino ai modi della narrazione orale. Tra le sue opere più note pubblicate da Feltrinelli: Il vangelo secondo Gesù Cristo, Cecità, Tutti i nomi, L'uomo duplicato,...

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