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L'Imperatore di Portugallia è un romanzo sull'amore, la sua nostalgia, le sue proiezioni, la sua vera o apparente follia.
«E nello stesso istante capì cos'era stato a far battere il suo cuore. E non soltanto questo: cominciò anche a intuire cosa gli era mancato per tutta la vita. Perché chi non sente battere il cuore nel dolore o nella gioia non può di certo essere considerato un vero essere umano.»
Dal momento in cui la piccola Klara Gulla viene al mondo, il cuore del padre Jan comincia a battere e il miracolo di quel battito, di quella tardiva scoperta di un'emozione mai provata, della felicità e della sofferenza che ne sono le immancabili compagne, trasformerà tutta la sua vita, dandole valore e significato. L'amore diventa la lente attraverso la quale vede la realtà e, quando questa è troppo squallida e amara, la trasfigura. Se la sua Klara Gulla , partita a cercar fortuna, non scrive e non torna, non è, come dicono voci maligne, perché è andata a finir male: il mistero che la circonda non può che nascondere un destino troppo straordinario per essere rivelato. Lontano, in una mitica Portugallia, dove non esistono il male e la miseria, la figlia è diventata imperatrice. E Jan, il contadino di Skrolycka, nelle sperdute valli delle Askedalar, comincerà a vivere da imperatore, con la follia di chi, cieco all'apparenza delle cose, si fa veggente e, misurando con il metro dell'assoluto, varca i confini dell'umano per entrare nel meraviglioso.
COME COMINCIA
Per quanto vecchio diventasse, Jan Andersson di Skrolycka non poté mai stancarsi di raccontare di quel giorno in cui la sua bambina era venuta al mondo.
Era uscito presto quel mattino per andare a cercare la levatrice e altra gente che potesse aiutarlo; poi per tutto il resto della mattinata e per un buon tratto del pomeriggio era rimasto a sedere sul ceppo della legnaia, senza aver altro da fare che aspettare.
Fuori pioveva a dirotto; e non mancò di prendersi anche lui la sua parte di pioggia, benché si potesse dire che stava seduto al coperto. L'umidità filtrava dalle pareti e le gocce cadevano sopra di lui dal tetto sconnesso; sul più bello, il vento gli rovesciò addosso un intero scroscio attraverso l'apertura senza porta della legnaia.
"Chissà se qualcuno pensa che sono contento di vedermi arrivare questo bambino", brontolò Jan mentre se ne stava lì seduto; e diede un calcio a un legnetto secco, facendolo volare fuori nel cortile. "Perché è proprio la peggiore disgrazia che mi poteva capitare. Quando ci sposammo, Katrinna e io, fu perché ci eravamo stancati di fare la serva e il garzone a casa di Erik di Falla e volevamo dormire sotto un nostro tetto, ma non certo per avere bambini".
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non perdete l’occasione di leggere questo libro e di conoscerne l’autrice. Un libro che resta nell’anima per giorni, dolce e straziante. Quanto è fragile e bella l’anima umana: sono grata a questa autrice che nei suoi libri ne fornisce sempre una visione ad ampio spettro.
Un libro che racconta di un amore paterno immenso, puro e incondizionato. La genuinità e purezza dei sentimenti di Jan per la figlia sono struggenti e trascendono qualsiasi bruttura d'animo o d'intenzioni. In secondo piano, ma ugualmente eccezionale, sono le commoventi fedeltà e forza d'animo della moglie Katrinna che non abbandonerà mai il marito, neppure nella pazzia.
Leggetelo e poi leggete tutto ciò che ha scritto Selma lagerlof. Vi porterete a lungo questa storia nel cuore. Davvero leggetelo.
Recensioni
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scheda di Baggiani, A., L'Indice 1992, n. 6
Riappare dopo quasi cinquant'anni nella stessa ottima traduzione, riveduta dall'autrice, un piccolo straordinario classico della grande scrittrice svedese, certo tra le sue cose migliori. Ancora un mitico Varmland, sempre estremo nord, in condizioni di vita di grande semplicità. Il bracciante Jan di Skrolycka, rivelato all'amore dalla nascita della figlia Klara Gulla, bella e "luminosa" come vuole il suo nome, fa di questo amore il perno della propria esistenza, e la presenza della ragazza sembra davvero illuminare il grigiore quotidiano. Ma la miseria e la malvagità degli uomini costringono Klara ad andarsene in cerca di fortuna e, a poco a poco, l'amore di Jan si trasforma in follia: convinto dello straordinario destino della figlia e, di riflesso, del suo, Jan rifiuta di vedere il male diventando però tramite della giustizia divina. Il ritorno di Klara, adulta, lo condurrà alla morte, ma la sua morte significherà ancora consolazione e riscatto. Pochi gli eventi, molti i particolari apparentemente irrilevanti che danno vita a un mondo contadino i cui protagonisti vengono sempre colti come sono, senza retorica, con fine umorismo e con quel senso di rispetto per l'umanità che faceva parte di una cultura, anche letteraria, e sembra oggi essersi perduto. È un mondo dove l'esistenza del male non viene messa in dubbio ma esorcizzata dalla tranquilla fiducia nella giustizia e nella religione - una religione consolatoria e non solo punitiva. Ma ogni parola assume nel romanzo connotazioni realistiche e solenni insieme: siamo immersi in un'atmosfera incantata, che non è però quella della fiaba, anche se della fiaba conserva l'ottimismo che sorregge la spinta alla vita contro la morte. È ancora una volta, lo spirito della saga, così ben resuscitata dalla Lagerlof, e questo è un libro che verrebbe voglia di leggere a voce alta: tanto la storia è ben raccontata, con tutta l'abilità che ci vuole, un uso sapiente della ripetizione, un linguaggio che non cade mai nella banalità, e soprattutto gli elementari, essenziali valori dell'epos.
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