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Anno edizione: 2018
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Il modo in cui Vollmann riesce a incastrare 1) la propria esperienza personale presso gli Inuit ai giorni nostri e 2) la storia della spedizione di sir John Franklin alla ricerca del mitico Passaggio a Nordovest, tenendo assieme le due cose all'interno dello stesso libro, dello stesso paragrafo e a volte perfino della stessa frase, è qualcosa di molto ambizioso, e riuscitissimo. Un'idea folle e geniale come solo il suo autore
Vollmann non nasconde nei suoi candidi e maniacali romanzi di avere a cuore la salvezza del mondo, e al riguardo dei fucili sente di aver potuto tastare con mano e con la mente che l’utilizzo dei fucili ha peggiorato la vita sul continente. I fucili hanno provocato lo sterminio e l’estinzione di fatto di molte specie animali, con conseguente problema di sostentamento per le popolazioni che vivevano della caccia di quelle specie così estinte, poi non c’è bisogno di chissà quale acuta lungimiranza per accorgersi che l’evoluzione dei fucili ha condotto da parecchio tempo nei paraggi dell’auto-distruzione in quanto specie umana.
Recensioni
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William T. Vollmann, il corpo della Terra
di Matteo Meschiari
Pare che sia molto difficile iniziare un pezzo su William T. Vollmann senza fare una dichiarazione di smarrimento cognitivo, dichiarazione che, a giudicare dalla critica in circolazione, ha assunto la forma di autentica figura retorica. Retorica o meno, dopo la dichiarazione-incipit che paga pegno alla mirabolante, monumentale varietà dell’opera vollmanniana eccetera eccetera, troveremo l’immancabile affermazione che, in presenza di tale libro (quello da recensire), sarebbe difficile o addirittura ingenuo riassumere il plot perché qui non si può parlare veramente di un romanzo eccetera eccetera. Così, dopo l’affermazione postmodernista che ci ricorda che saggio e narrativa vanno a braccetto, è di rito la non troppo approfondita digressione sullo stile proteiforme, ovviamente collegato (ma non si capisce come) al camaleontico stile di vita dell’autore. Dopo il carotaggio sullo stile, una noterella un po’ dotta un po’ di colore, ed ecco raggiunte le 8000 magiche battute: il pezzo su Vollmann è pronto.
Ora, mi perdonerete se mi gioco in bile il primo migliaio di caratteri, ma lo faccio perché ci sono autori che ad apertura di pagina meriterebbero un approccio più frontale: “perché hai scritto questo libro?”, “perché hai scritto I fucili?” Non è una domanda innocua del tipo “ehi amico che cosa hai voluto dire qui”? È una domanda del tipo “che cazzo ci fai nella mio giardino?”. Non basta quindi rispondersi a metà raccontando un pezzetto di trama, prendendo il lettore per mano e ragguagliandolo sul ciclo dei Sette sogni, additando la premessa tematica e cioè che i suddetti fucili dati in mano ai Nativi del grande Artico canadese sono stati uno strumento di auto-colonizzazione distruttrice. Nessuna di queste cose risponde davvero alla domanda “perché hai scritto I fucili?”. E ogni non-risposta (tematica, biografica, stilistica, metaletteraria) è una distrazione che allontana dal nucleo reale, e che disinnesca pietosamente il libro.
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