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Con un matrimonio fallito e una brutta malattia alle spalle, Nathan Glass torna a Brooklyn con l'intenzione precisa di cercare un buon posto per morire. Ma il caso ha in serbo per lui ancora molti avvenimenti, incontri ed emozioni.
Quando hai vissuto a lungo come me tendi a pensare di aver ascoltato di tutto, di non poterti piú stupire di nulla. Ti viene pure voglia di vantarti della tua esperienza del mondo e poi, ogni tanto, ti ritrovi di fronte a qualcosa che ti catapulta fuori dal bozzolo di goduta superiorità, ricordandoti da capo che della vita non capisci un bel niente.
Raggiunta ormai l'età della pensione, Nathan Glass ritorna a Brooklyn, la città dov'è nato e che ha lasciato quasi sessant'anni prima. Ha un solo e preciso desiderio, quello di cercare un buon posto per morire. Ma il caso ha deciso per lui diversamente. Gli amori infelici del nipote Tom, le avventure del libraio-falsario Harry Brightman, l'apparizione improvvisa della piccola Lucy, che rifiuta di svelare dove si trova sua madre, sorella di Tom. Nathan pensava di dedicarsi a un progetto, la scrittura di un Libro della follia umana, ma le follie sono lí, appena fuori dalla porta, nel piú vivo e colorato angolo di New York. Una commedia dalla trama apparentemente spensierata. Una commedia che termina però la mattina dell'11 settembre 2001, data oltre la quale i lieto fine diventeranno di colpo piú amari e difficili.
Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
E' un romanzo che si legge con piacere, ironico e anche divertente, anche se non mancano spazi di riflessione sulla morte e la violenza e per la presenza di personaggi tragici, fondamentalmente buoni, come Harry Brightman. Tutto succede a Brooklyn tra il 2000 e il 2001 e si conclude l' 11 settembre del 2001 con l'attentato alle Torri Gemelle. Il sessantenne Nathan Glass, l'io narrante, quel mattino esce alle ore otto (tutto sarebbe successo quarantacinque minuti dopo), "e mentre camminavo lungo il viale sotto quello splendido cielo azzurro ero felice, amici miei, l'uomo più felice che sia mai vissuto". Alle ore dieci, il fumo di tremila corpi sarebbe stato portato dal vento verso Brooklyn e "si sarebbe posato su di noi in una bianca nube di ceneri e morte". A proposito di morte, Nathan era stato un assicuratore nel ramo morte e aveva rischiato di morire per una grave malattia e riflettendo sulla morte e il successivo oblio, aveva pensato di raccogliere e stampare biografie di persone qualunque: "Qualcosa sarebbe vissuta dopo di loro, che sarebbe vissuta dopo tutti noi. Mai sottovalutare il potere dei libri". Questo progetto, che Natan ritiene campato in aria, in realtà è stato realizzato a Pieve Santo Stefano dove c'è un archivio che raccoglie più di diecimila diari di persone qualunque.
È il primo libro che leggo di Auster. Mi è piaciuto, la scrittura è scorrevole e tutti gli avvenimenti incuriosiscono e facilitano il lettore a concludere la lettura rapidamente.
Il primo romanzo che leggo di quest'autore. Meraviglioso. Lettura piacevole, vite dei personaggi ben delineati che si intrecciano con la vita del personaggio principale, niente viene lasciato in sospeso. Lo consiglio assolutamente e mi sprona a leggere altri libri di Paul Auster.
Recensioni
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«Nessuno cresce con l’idea che il suo destino sia fare il tassista.»
Basta partire dal titolo Follie di Brooklyn (evidente richiamo alle commedie di Broadway) per comprendere come Paul Auster ci regali un nuovo colpo (di teatro). Un romanzo che ha il ritmo narrativo di una commedia, una scrittura che si avvicina alle atmosfere evocate dalla sceneggiatura di Smoke, ma che (fortunatamente) di cinematografico non ha nulla.
Auster ci (ri)porta nella “sua” Brooklyn: quella dove abita e lavora, quella oggi artisticamente scintillante ma che fino a qualche decennio fa era soltanto “un quartiere misero e fatiscente, abitato da poveri immigrati e da famiglie di operai”. Proprio qui, tra queste strade asfaltate dalla memoria, si muove il protagonista Nathan Glass: un uomo di mezza età che la vita vorrebbe sfiorito, sfiancato da una malattia terminale, ma che il destino sembra aver deciso di “salvare”. Nessun miracolo, si intenda: solo La musica del caso. Quella musica che non è soltanto il titolo di uno tra i migliori libri di Auster, ma la partitura lirica dalla quale si muovono tutte le storie raccontate dallo scrittore americano.
Tra queste pagine, attraverso il protagonista, si coglie la vita là proprio dove la vita si sta spegnendo. La malattia in Auster diventa metafora della “spazzatura della nostra cultura”: un mondo invaso ed evaso. Attraverso Nathan Glass assistiamo alla decadenza, illuminata a giorno da quel potente anestetico che è l’ironia, di un universo che sta per implodere, di un universo sempre più vicino al proprio “Ground Zero”. E quando ti ammali “di colpo smetti di essere te stesso. Diventi la persona che abita il tuo corpo, e quello che ora sei è la somma totale delle insufficienze di quel corpo”.
Non è una radiografia perfetta del nostro contemporaneo? Del nostro Occidente che guarda con (t)errore ad Oriente senza accorgersi del proprio tramonto?
Nathan Glass, di professione “assicuratore di polizze vita”, ci rappresenta tutti.
Con Nathan Glass, Paul Auster continua a raccontarci la sua Città di vetro. Ma anche il suo mondo di carta. Quello influenzato da Philip Roth (è un caso che Nathan sia il nome di Zuckerman, alter ego letterario di Roth?) e da Salinger (è un altro caso che Glass si chiami anche la famiglia della saga salingeriana?).
Gli interrogativi, per ora, restano tra parentesi. Altre risposte, invece, le si trovano ne Le trame della scrittura, intervista ad Auster trascritta da Matteo Bellinelli. Come già in Una menzogna quasi vera, conversazioni pubblicate qualche anno fa da Minimum fax, Paul Auster si mette a nudo. Il suo è un corpo a corpo con la scrittura. Come quando confessa: “Scrivere non è un modo molto interessante di vivere: seduto il giorno intero in un locale, tutto solo, concentrato su una macchina per scrivere. Eppure non potrei mai immaginare di non farlo: la mia vita sarebbe vuota e incompleta se non scrivessi”. Anche se “mentre scrivo mi sento sempre perso, e solo. Mi sento sempre un principiante, continuo ad imbattermi nelle stesse difficoltà, gli stessi vuoti, le stesse disperazioni…”.
a cura di Wuz.it
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