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Il libro non mi è piaciuto, mi ha annoiato, descrive situazioni grottesche, non ho capito cosa volesse trasmettere ed è pure volgare. Personalmente non salvo nulla. Sconsigliato.
Anna è una donna intelligente, bella, con un lavoro interessante, ma di colpo tutto questo non serve più. Dopo cinque anni la sua storia d'amore con Davide affonda in una palude di tradimenti, bugie, ricatti. E la sua vita va in pezzi. Si trasforma in un'isterica, non dorme, non mangia, fuma e si ubriaca ogni sera per riuscire ad addormentarsi. Compulsivamente inizia a frugare nel telefonino di lui nelle chat, sui social. Non sa cosa sta cercando, non sa perché lo sta cercando. Per un anno rimarrà prigioniera di quello che lei stessa chiama il regno dell'idiozia, senza riuscire a dirlo a nessuno. Questo racconto è la sua confessione, sotto torma di lettera, a Valentina, la sua più cara amica, che l'ha vista distruggersi sera dopo sera. Anna dice tutto, senza pudore. I dettagli umilianti e ridicoli, l'ossessione, la morbosità. Anna somiglia a tutti noi, che combattiamo questa guerra paradossale che chiamiamo amore. Ogni tanto vinciamo, più spesso perdiamo. L'unica cosa su cui possiamo sempre contare, l'unica capace di indicarci i nostri confini, i nostri bisogni, è il corpo. E sarà al corpo che Anna si aggrapperà per sconfiggere il dolore. È il primo libro che leggo della Stancanelli, finalista allo Strega del 2016, ma oltre al resoconto di alcune dinamiche relazionali interessanti, del libro resta ben poco. Solo la morbosità, l'autolesionismo, la malattia di un rapporto disfubzionale che in piena co consapevolezza viene reiterato. Pensavo molto meglio, peccato.
Il tema è quello del tradimento e la Stancanelli riesce a sviscerarlo con forza, con lucidità (il dolore lancinante e le ossessioni anche ridicole, il folle desiderio di vendetta). La storia si legge bene e scorre almeno per 3/4, poi si perde, senza ritrovarsi. Peccato. A un mese di distanza dalla lettura sono ancora incerta se consigliarlo o no.
Recensioni
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Il nostro presente multimediale ha unito le più avveniristiche tecnologie con il più arcaico, eruttivo, incostante e inspiegabile dei sentimenti umani: l’amore. Con implicazioni in molti casi seduttive, in altri ossessive e disfunzionali, a volte fortemente limitative della complessità che ci portiamo dentro. Intorno a questo nodo di problemi Elena Stancanelli ha costruito il suo quarto romanzo. Vi ritroviamo Anna e Davide, che nel precedente libro della scrittrice fiorentina, Un uomo giusto, avevamo visto affrontare i momenti che precedono una relazione sentimentale, fino a mettere le rispettive vite l’uno nelle mani dell’altra. Cinque anni dopo, ormai ultraquarantenni, la loro relazione è finita. A raccontarlo è Anna nella lunga lettera-confessione alla sua amica Valentina, che compone il romanzo. Davide l’ha tradita più volte, in particolare con una ragazza più giovane, che lei chiama Cane, perché possiede un cagnolino, un meticcio, di nome Cane. Ad Anna non resta allora che “cullare” il “cadavere” del suo amore e andare incontro a una mutazione da “donna razionale, complicata, solitaria” a donna disfunzionale. Smette di mangiare e di dormire. Usa e abusa di alcool e psicofarmaci. Inizia per Anna “un anno nel regno dell’idiozia”, in cui compie “cose orribili e dementi”. Diventa una cyberstalker, utilizzando tutti gli strumenti di potere forniti da internet: entra nella casella di posta di Davide, poi nel suo account Facebook e passa le giornate a leggergli le chat. Ma soprattutto fa della rivale Cane il suo fantasma personale, una sorta di mostro, ricavato dall’assemblaggio di immagini e di informazioni riprese dalla rete, oltre che dalle proprie fantasie. un “mostro” da eliminare, che Anna identifica per lo più con la foto della sua vagina, oggetto di traffici di sexting con Davide, finalizzato non tanto a trasmettergli eccitazione, quanto a fornire “un’indicazione di disponibilità, una proroga della disponibilità”. L’unica ancora di salvezza dinanzi a questa deriva virtuale è il corpo in tutta la sua materialità, in tutta la sua “nudità”, come ricorda il titolo del romanzo.
Se la società occidentale moderna ha cancellato tutte le manifestazioni concrete del corpo, riducendolo a simulacro e privilegiando le strategie di distanziamento da esso, e quindi il senso dello sguardo, a scapito dell’olfatto e del tatto, se internet e i social costringono gli utenti a costruire identità fittizie a danno della propria, non resta, ci avverte Stancanelli attraverso le parole del suo personaggio, che tornare al corpo stesso, eleggendolo a unico principio di responsabilità: “Senza il corpo, cioè nude anime o nudi niente, contro cosa dovremmo sbattere per fermarci? (...) Il corpo scarta. Si ammala, ti molla in mezzo alla strada, ti stordisce. Ma a volte, senza che tu te ne accorga, ti porta in salvo, lontanissimo”.
Recensione di Vito Santoro
Finalista al LXX Premio Strega. Vincitore del Premio Caccuri - Narrativa 2016. Presentato da Francesco Piccolo e Silvia Ronchey.
Il nuovo, atteso romanzo di Elena Stancanelli è la storia di una
donna che, nella forma di una confessione spudorata alla propria
migliore amica, racconta il lato oscuro di ogni donna.
«Questo romanzo non è perbene, e contiene una verità che ci riguarda (...)».
Annalena Benini, "Il Foglio"
«L'autopsia di un corpo vivo. L'esame dell'anatomopatologo su un cuore che pulsa, però altrove.» Concita De Gregorio, "La Repubblica"
«La femmina nuda è il libro più bello di Elena Stancanelli.» Francesco Piccolo, "La Lettura" del "Corriere della Sera"
Le hai scritto ti amo, gli ho detto. Ti amo da impazzire, ti rendi conto? Per quale ragione continui a dire di essere innocente e per quale ragione vorresti stare con me se sei innamorato di un’altra? Ti amo non vuol dire un c***o, mi ha detto. Come sarebbe non vuol dire un c***o. Niente, è solo un modo di dire.
Questo fulmineo racconto è il disilluso rapporto autoptico della fine di un amore, ma anche un riuscito affresco delle manie della donna italiana, interpretate con amarezza e cinismo dalla Stancanelli. Il merito dell'autrice sta nell'essere riuscita a rappresentare con grande ironia lo stereotipo, in negativo, della donna contemporanea, dinamica ed emancipata, in grado di commettere adulteri innocenti poiché portatrice di una sensibilità femminile moderna, in cui il tradimento è ammesso come riscossa di genere, una colpa livellatrice che equipara i generi verso il basso.
La protagonista del romanzo è Anna, una donna realizzata e indipendente, capace di qualche innocua scappatella, un personaggio talvolta sgradevole che si scopre improvvisamente incapace di vivere oltre il riflesso di una relazione malsana con un uomo a sua volta adultero.
Il rapporto aperto pareva funzionare in teoria, nella sua disfunzionale complessità, ma quando Anna scoprirà l'identità di un flirt del compagno, in lei si scatenerà un trauma in grado di innescare una graduale discesa verso gli inferi di un’ossessione morbosa.
Un incubo fatto di accessi non autorizzati agli account del social network del compagno e di ore passate davanti allo schermo a monitorarne gli spostamenti per studiare la geografia dell’adulterio, fino ai pedinamenti della rivale, chiamata con disprezzo Cane. La contendente è una ragazza come tante altre, un’ulteriore fonte di frustrazione per Anna, incapace di carpire le ragioni del tradimento. Cosa avrà di tanto speciale quella insulsa ragazzina dotata di quel mostruoso chihuahua ibridato a chissà quale altre cagnetto? Nel frattempo l’anoressia è alle porte, l’alcol e gli psicofarmaci come unico sostentamento, l’assuefazione all’insonnia conclamata. L’orgoglio invece irrimediabilmente vilipeso.
Il testo si presenta come una lunga lettera all’amica Valentina, la destinataria del minuzioso resoconto delle follie commesse dalla protagonista per gelosia, la testimone dell’ammissione di un reato, lo stalking, perpetrato ai danni di Davide, il compagno fedifrago.
La confessione ha finalità terapeutiche, uno sfogo per esorcizzare una femminilità umiliata, come se Anna avvertisse di avere offeso non solo se stessa ma l’intero genere. Infatti Valentina non ha contorni reali, pare immaginaria, quasi a voler incarnare l’universo sesso femminile, un interlocutore astratto a cui chiedere perdono per le bassezze compiute e per l’incapacità di vivere senza un uomo.
Davide, come l’amica Valentina, non è tratteggiato a sufficienza per suggerire al lettore una psicologia dettagliata del personaggio. Sembra anch’egli un simbolo più di una reale persona, un archetipo dell’uomo inconsciamente erotomane, quasi non avesse colpe per quello che è, in quanto fatalmente maschio.
Da questo brevissimo libro della Stancanelli, un certo tipo di donna italiana – di mezza età, lavoratrice, mediamente acculturata - esce a pezzi, canzonata con enfasi e ironia per il conformismo, per il linguaggio fintamente trasgressivo e l’incapacità di immaginarsi sobriamente single, ma l’autrice sembra voler offrire una via d’uscita nel recupero di una solidarietà di genere, l’unica ancora di salvezza capace di tutelare la donna dall’anaffettività del moderno rapporto di coppia.
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