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Dirla franca. Dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. Sono passati diversi lustri dalla scoperta della loggia segreta Propaganda 2, dalle inchieste che hanno rivelato come funziona il "lavoro" che arricchisce illecitamente alcuni a spese di tutti, dalla stagione in cui gli imprenditori "costretti" a corrompere i politici facevano la fila davanti agli uffici dei magistrati per farla finita con "regole" illegali e incostituzionali ma praticate "normalmente". Con il senno di poi e la saggezza dell'età uno dei protagonisti di quelle scoperte racconta in modo sintetico, chiarissimo ed efficace che cosa è successo e come e anche un po' perché. È una storia che i giovani farebbero bene a conoscere, visto che a scuola non si fa mai in tempo a studiare il mondo contemporaneo. È anche il riconoscimento disincantato della pochezza dei risultati di tanto lavoro e impegno. Nel '92 l'autore scriveva: "sarà difficile per loro farla franca". Poi nel 2007 si è dimesso dalla magistratura. Quello che rimane a noi oggi è sempre di nuovo il compito, quello affidatoci dalla Costituzione, a noi come cittadini e alla società italiana nel suo complesso, di "crescere tra trasparenti conflitti e non accompagnata da occulti accordi". Per far questo è necessaria una antica e rara virtù, detta parresìa, la capacità di dire la verità, non la verità assoluta che tutti dovrebbero credere, proprio la verità vera, quella che ognuno sperimenta dal proprio punto di vista, limitato e concreto. I bambini lo fanno spontaneamente, se vengono ascoltati davvero, Gherardo Colombo anche e per questo merita di essere ascoltato.
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Perché far scrivere a un filosofo qual è Umberto Galimberti la prefazione a un libro che racconta vicende giuridiche e politiche?
Partiamo da una domanda per parlare di Farla franca, lunga intervista con Gherardo Colombo che, nel ripercorrere le tappe della vicenda professionale e umana dell’ex magistrato, pubblico ministero e giudice, getta uno sguardo in profondità nei meandri del Palazzo di Giustizia di Milano, e sui fili che da lì si dipartono verso i palazzi della politica, le istituzioni in generale, la società civile.
Tutto parte da un punto interrogativo, e d’altra parte è il libro stesso a interrogarci fin dal sottotitolo, che riprende un celeberrimo assioma, rovesciandone l’assertività in una domanda capace di chiamare in causa direttamente il nostro essere cittadini.
“La legge è uguale per tutti”? si chiede e ci chiede Colombo.
Non è una domanda retorica, e il percorso per avvicinarsi a una risposta – alla quale potremmo anche non pervenire affatto - non può essere delegato a nessun altro all’infuori di noi stessi.
Dicevamo dunque della prefazione ad opera di Galimberti, e forse non c’è termometro migliore di queste pagine dense e ispirate per misurare quanta emotività suscitò quella stagione drammatica, vent’anni fa, e come a tutto quel clamore non avrebbe potuto seguire che un silenzio.
Il vecchio, gattopardesco adagio che vuole che “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” sembra ancora il motto più veritiero per descrivere la palude nella quale ci dibattiamo, riassunto limpidissimo e tragico di un tratto del carattere nazionale ben stigmatizzato da Galimberti nella sua prefazione al libro.
Nel corso di quelle stesse, intense pagine, Agostino, Platone e Aristotele ci tengono per mano, in un percorso attraverso La città di Dio, La repubblica e L’uomo come animale politico, ma quelle folgoranti illuminazioni, paragonate alla sconfortante incultura politica nella quale viviamo oggi, hanno il lucore opaco delle perle gettate in mezzo al fango.
Tangentopoli fu, è vero, spartiacque fra la prima e la seconda repubblica, ma i vizi che avevano impedito alla prima di evolvere in una democrazia matura, si traghettarono senza eccessivi sforzi nella seconda, rendendo l’auspicato ricambio politico molto simile ad una farsa.
Questo libro, che ha la forma di una lunga intervista condotta da Franco Marzoli, amico di Colombo sin dai tempi dell’Università, ripercorre una carriera formidabile, lunga più di quarant’anni, che si è sviluppata in seno a momenti drammatici della nostra vita repubblicana, così che oggi leggere delle indagini sulla Loggia P2, sui fondi neri dell’IRI e su Mani pulite significa ripercorrere il disegno storico delle vicende di un Paese in cui si continua a considerare la cosa pubblica come un’opportunità di arricchimento personale.
Un paese, l'Italia, in cui la giustizia viene spesso percepita come un ostacolo sulla via del fine ultimo cui puntano corrotti e corruttori, che è per l'appunto il “farla franca”.
Il rigore, caratteristica propria di Colombo, traspare da ogni riflessione, da ogni considerazione in calce ai difficilissimi momenti di cui egli è stato testimone e protagonista, ricoprendo cariche diverse e sempre interpretandole nel pieno riconoscimento della costituzione come momento fondamentale della nostra civiltà.
L'intervistatore è molto bravo anche a far emergere i contrasti che a volte si svilupparono in seno al pool formato da Colombo, D'Ambrosio, Borrelli, Di Pietro e Davigo. Anime diverse, diversissime, di una squadra che doveva assolutamente marciare unita e che, a dispetto di tutto, riuscì in un'impresa titanica.
In appendice, un ricco apparato di documenti, fra i quali troviamo una cronologia puntuale e dettagliata degli avvenimenti che scandirono l'inchiesta Mani pulite, alcune interviste rilasciate dallo stesso magistrato a testate giornalistiche all’epoca dei fatti, ma anche le lettere degli imputati che videro la propria reputazione irrimediabilmente compromessa in seguito alla tempesta che si scatenò sui giornali in quei mesi del 1992.
“Temo che Mani pulite, giudiziariamente sia servita a poco o a nulla, e che anche culturalmente sia servita a ben poco”, chiosa amaramente Colombo verso la fine del libro.
Questo, però, può permettersi di dirlo solo lui, che fu tra i massimi promotori dell’inchiesta.
Noi dobbiamo invece celebrare i vent’anni trascorsi da quel momento irripetibile, e cogliere ogni occasione per ribadire la nostra fiducia nella Costituzione, e specialmente in quell’articolo 3 che stabilisce come tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge.
A cura di Wuz.it
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