Nato da una famiglia di mercanti di Bordeaux riconosciuta nobile due generazioni prima, è più conosciuto semplicemente come Montaigne. Il suo bisnonno (Ramon Eyquem) acquistò nel 1477 un castello a Saint-Michel-de-Montaigne, nella regione del Périgord, e così acquisì il titolo di "Seigneur de Montaigne", poi trasmesso a figli e nipoti.
Tra questi, Pierre Eyquem fu il primo a installarsi stabilmente nel castello, che fece ristrutturare e fortificare. Aveva combattuto in Italia, sposando nel 1528 Antoinette de Louppes, figlia di un mercante di Tolosa d'origine ebrea (marrana). Pierre Eyquem ricevette il titolo nobiliare nel 1511 e venne eletto sindaco della stessa Bordeaux nel 1554.
Michel fu il primo figlio della coppia a sopravvivere, e divenne il maggiore di sette tra fratelli e sorelle. Suo padre gli offrì un'educazione secondo i principi dell'umanesimo del XVI secolo. Secondo lo stesso Montaigne, venne inviato a balia in un povero villaggio perché si abituasse « al modo di vivere più umile e comune » (Saggi, III, 13). Ritornò al castello all'età di tre anni, e gli venne dato come precettore un medico tedesco di nome Hortanus, che ebbe per ordine di parlargli solo in latino, come anche il resto della famiglia. A tredici anni Michel, conoscendo solo il latino, viene inviato al collegio della Guyenne a Bordeaux, luogo insigne dell'umanesimo bordolese, dove impara il francese, il greco antico, la retorica e il teatro. Nacque da una famiglia di nobiltà recente, arricchitasi col commercio. Il padre, che, abbandonati gli affari, si era dedicato alla vita pubblica (fu sindaco di Bordeaux, carica che anche M. ricoprirà dal 1581 al 1585) educò il figlio con metodi estremamente liberali, di impronta erasmiana. M. imparò il latino come lingua viva, e lo parlava quotidianamente già a sei anni, quando entrò nel collegio di Guienna a Bordeaux. A 21 anni, compiuti gli studi di diritto, M. entrò in magistratura: questa carriera, per la quale non nutrì mai grande entusiasmo, si concluse nel 1570, quando M. si dimise da consigliere del parlamento di Bordeaux. Dopo un soggiorno a Parigi, durante il quale curò l’edizione delle opere dell’amico Etienne de La Boétie, M. fece ritorno nelle sue terre. Là si consacrò alla lettura degli antichi e alla redazione della sua opera. Non si trattò tuttavia di un isolamento assoluto: M. lo interruppe più volte, viaggiando sia come «turista» (del 1580-81 è un lungo viaggio attraverso Germania e Italia), sia per svolgere delicate missioni politiche.
La raccolta di impressioni tratte dal viaggio in Italia, non destinata alla pubblicazione e pertanto priva di preoccupazioni formali, è una interessante testimonianza della personalità curiosa e aperta di M. (Diario di viaggio in Italia, Journal de voyage en Italie par la Suisse et l’Allemagne, postumo, 1774). Nel 1569 M. aveva pubblicato la traduzione della Theologia naturalis del catalano Ramón Sabunde (cui dedicò l’ironica Apologia, compresa nei Saggi, imbevuta di scetticismo, volta a dimostrare l’impossibilità di attingere alla verità e a smitizzare la posizione di privilegio dell’uomo nell’universo).
Capolavoro di M. sono i Saggi (Essais), opera rielaborata e arricchita instancabilmente sino alla morte. I primi due libri apparvero a Bordeaux nel 1580; del 1588 è l’edizione parigina in 3 libri; l’edizione postuma e definitiva (con le numerosissime aggiunte, di carattere sempre più autobiografico) fu pubblicata a Parigi nel 1595 a cura di una fedele ammiratrice, Mlle de Cournay. Uno studioso di M., Villey, ha dimostrato che i Saggi prendono lo spunto da quelle sillogi di aneddoti, citazioni, sentenze, accompagnate da annotazioni e riflessioni, che tarda antichità e medioevo avevano prodotto in gran copia. Ma l’umile progetto presto si dilatò e si alterò: ai passi scelti degli autori antichi M. mescolava episodi della propria vita e del proprio tempo, mentre le considerazioni personali straripavano, giungendo a costituire il corpo stesso di un testo in perpetuo divenire.
Seguire scrivendo «il procedere degli umori» e «l’andatura così vagabonda del nostro spirito» è l’essenza del metodo che via via M. affinò, elaborando in forme sempre più sottili, varie e sfumate il suo discorso interiore. M. racconta, in uno stile la cui dotta familiarità non è priva di scuciture e di arditezze, sé stesso, la sua vita contingente, ricca soltanto di dubbi, di «diversi e mutevoli accidenti», di «immaginazioni irresolute»; e, tuttavia, sa di mettere in discussione, attraverso la sua impresa, «l’intera filosofia morale», perché «ogni uomo porta l’intera forma dell’umana condizione». Il suo relativismo morale trova sbocco solo nel mito della libertà interiore del saggio e ignora i problemi sociali e politici; tuttavia contribuisce a liberare il pensiero filosofico e scientifico del suo tempo dalle pastoie dell’autorità e della tradizione. Con il suo spirito antisistematico e le sue oscillazioni fra tentazioni stoiche, inclinazioni epicuree e appassionato scetticismo, M. è inoltre all’origine di una dimensione caratteristica dell’umanesimo occidentale ed è, per questa via, il capostipite di una vasta famiglia di spiriti; contribuì, fra l’altro, alla nascita dell’honnête homme, modello ideale del secolo successivo, sincero, equilibrato, padrone di sé e in pace con la propria coscienza. Ciononostante, i Saggi mettono in crisi, appunto, le certezze libresche e umanistiche, e propongono una nuova antropologia, un nuovo inventario, obiettivo e alieno da ogni mito, degli attributi e dei caratteri dell’uomo.
Biografia tratta dalla Enciclopedia Garzanti della Letteratura.