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Non è un capolavoro, tuttavia se penso al successo di altri libri come ad esempio "La donna del treno" vi consiglio assolutamente di leggerlo: c'è ritmo e suspance e si legge con piacere. è quasi un giallo e quindi non voglio dirvi niente. Io che non amo i gialli ho deciso di leggerlo dopo aver visto il film tratto dal libro che ne ha fatto Roman Polański: ecco il film potete risparmiarvelo a meno che non vi piaccia quella mummia di sua moglie che a me invece come attrice fa veramente pena (e che comunque in questo film è quasi sopportabile). Comunque vedetelo dopo aver letto il libro che è meglio del film, così anche la pellicola sarà più comprensibile e ve la godrete di più anche sapendo come va a finire. io quasi quasi mi leggo anche l'altro libro della de Vigan: il prequel, per così dire, che ha avuto maggior successo di questo e che casualmente ho già in libreria.
Lo sto leggendo , quasi terminato, ed è veramente un bel libro. Non è il solito romanzo mi piacerebbe sapere se è una storia realmente accaduta.
Un libro che si legge tutto d'un fiato. Intelligente, intrigante, consigliatissimo
Recensioni
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L'ultimo romanzo di Delphine, nel quale aveva messo a nudo la storia della sua famiglia, è diventato un successo planetario. L'ha travolta, le ha preso ogni energia lasciandola incredula, sfinita, debole. Lasciandola letteralmente senza parole.
Ho ripensato spesso a quel gesto, a ciò che racchiudeva: dolcezza, tenerezza, forse desiderio. O forse niente di tutto questo. Perché, in fondo, non so nulla e non ho mai saputo nulla di L.
Le storie dei libri sono spesso false, almeno in parte, questo è risaputo. Eppure mentre le leggiamo il coinvolgimento è tale che una parte di noi crede (o almeno finge) che quella vicenda sia successa sul serio, che quel personaggio sia davvero una persona che sta soffrendo, che quel pericolo si stia realmente avvicinando, che quella vittoria conti veramente qualcosa. Insomma, ci convinciamo che quella storia non sia una fantasia astratta ma qualcosa che ci tocca direttamente.
Nulla di nuovo, si chiama “sospensione dell’incredulità” ed è uno dei componenti base della narrazione. Delphine De Vigan riflette abilmente su questo meccanismo, scrivendo un romanzo potente e inquietante. Una storia che si presenta come un’autobiografia, a cominciare dalla protagonista, Delphine, che condivide con la scrittrice nome, famiglia, professione, città, ultimo libro scritto.
Delphine fin dalla prima pagina anticipa l’argomento del libro: l’incontro, la frequentazione, il rapporto con una donna, L. E il tentativo di quest’ultima di distruggerla.
Delphine comincia dall’inizio, raccontandoci del giorno prima dell’incontro con la donna, di quanto si sentisse debole e fragile, di quanto questo abbia aiutato L. a entrare nella sua vita. L. nei primi incontri appare gentile, affettuosa, premurosa, quasi dolce, ma la Delphine narratrice conosce il futuro e tinge ogni singolo gesto di una nuova inquietante consapevolezza. Così la carezza con cui L. la sfiora si macchia di morbosità, il modo in cui misteriosamente la donna ha ottenuto il suo numero allude a un’ossessione male (eppure magistralmente) celata, il suo rifiuto di incontrare la famiglia della scrittrice appare allarmante,…
Ma cosa può saperne di tutto questo la Delphine personaggio? Ha trovato una nuova amica, una di quelle che si sognano, che si vedono nei film e nei libri, ma che nella realtà sono rarissime. Quelle amiche con cui ci si sente ogni giorno, che sono sempre libere e disponibili, che sanno sempre cosa fare e cosa dire come se ci conoscessero meglio di noi.
L. ci viene presentata come la donna perfetta: bella, sicura di sé, raffinata, elegante. Delphine la ricorda come un’ottima ascoltatrice, dotata di una grande empatia, forte e coraggiosa: emblematica la scena in cui spinge un uomo prepotente fuori dalla metro, interrompendo l’umiliazione pubblica con cui stava punendo la sua compagna.
Insomma, L. è la donna che Delphine avrebbe sempre voluto essere. Ma gli occhi di Delphine narratrice sanno dove cercare, sottolineano quello che le era sfuggito.
Quando Delphine inizia a ricevere minacciose e vaghe lettere anonime, quando L. si lascia scappare un gesto o una frase fuori luogo, quando la Delphine narratrice riflette su ciò che poi verrà a scoprire della donna, per noi lettori è confortante sciogliere l’illusione e ricordarci che si sta parlando, appunto, di un romanzo e non di un’autobiografia.
Ma il rapporto fra la verità e la finzione è uno dei temi focali del libro. Lo stesso titolo ci trae abilmente in inganno: “Da una storia vera”. Un titolo d’impatto, che può facilmente obliare la banale etichetta “romanzo”. Uno dei temi su cui L. e Delphine discutono spesso (una delle rare occasioni in cui la maschera di L. traballa) è proprio il rapporto fra la fiction e la non-fiction. Una storia inventata è inferiore a una realmente accaduta? La fiction può colpire il lettore con la stessa potenza del reale? Perché i lettori di oggi hanno così fame di fatti veri e non di intrecci fittizi?
L’ira e lo sdegno con cui L. risponde alla decisione di Delphine di tornare alla fiction dopo il doloroso libro autobiografico sull’instabilità mentale della madre è solo il primo passo verso quel baratro che Delphine personaggio ancora non immagina. Non per nulla “Misery” di Stephen King è citato in esergo.
“Da una storia vera” si rivela un libro potente, spiazzante, che riflette sulla celebrità, sull’ossessione, sull’atto stesso di scrivere e di inventare. Un’elegante riflessione su cosa sia la verità e sul suo significato. Delphine De Vigan si conferma un’autrice preziosa, dallo sguardo indagatore e profondo, dallo stile impeccabile e trascinante. Un libro da leggere e rileggere, per apprezzare di nuovo lo svolgimento dei fatti dal punto di vista di Delphine narratrice. E, come lei, assistere impotente alla caduta di Delphine personaggio, incapaci di gridarle di scappare, prima che sia troppo tardi.
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