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Anno edizione: 1997
Anno edizione: 1997
recensione di Andrisano, A., L'Indice 1998, n. 8
Dell'ampia produzione plutarchea Stefano Jedrkiewicz ha scelto non a caso il "Simposio dei sette Savi", un testo recentemente rivalutato ma di cui non era stata finora indagata la peculiarità. Scritto bizzarro, si inserisce in modo anomalo in quel genere letterario tradizionale che elegge a propria cornice una pratica sociale tipica della cultura greca aristocratica, e risulta perciò ricco di molteplici argomenti di riflessione. Ne fa fede la nutrita serie di interrogativi che lo studioso ha premesso alla sua trattazione, quale invito seducente a seguirlo nel suo divertente percorso di ricerca. Perché lo scritto è attraversato da continui riferimenti alle favole esopiche? Perché Esopo, l'invitato diverso dagli altri, è l'unico a sedere su uno sgabello? Ma, soprattutto: è possibile un sapere ludico, come dire un processo di conoscenza basato su un distacco ironico nei confronti dei propri oggetti? Lo scopo è quello di identificare la prospettiva secondo la quale Plutarco concepisce il rapporto apparentemente conflittuale (o, per meglio dire, la possibile dialettica) tra la "paidia "e la "paideia", tra il gioco e l'ammaestramento.
Risulta illuminante il confronto con le "Questioni conviviali", uno scritto che appare una sorta di modello teorico del "Simposio", idoneo a giustificarne quell'andamento serio-comico che Jedrkiewicz evidenzia come tratto fondamentale di questo tardo dialogo socratico: la suprema filosofia è quella che sa mescolare il riso alla gravità, una capacità indispensabile anche e soprattutto quando l'ambiente del convivio non sia omogeneo. Se nel linguaggio delle "Questioni conviviali" il serio-comico è una forma superiore di conoscenza, in quello del "Simposio" diventa un metodo di ricerca della verità.
L'analisi di Jedrkiewicz privilegia due obiettivi: l'individuazione della "sophia "serio-comica messa a punto nel simposio dei Savi con l'intervento di Esopo, e la definizione del ruolo di Esopo stesso e della funzione che rivestono le citazioni delle sue favole. Si passa dunque da un attento esame degli strumenti utilizzati nell'"agon* simposiale (gnome, enigma, immagine, paradosso, ironia, scherzo, ecc.), che definiscono la scienza" "dei Savi come un'armonica sintesi di conoscenza teorica e autorevolezza in campo politico e morale, alla carrellata dei personaggi, anche femminili, che insieme ai Savi fanno da corona a Esopo, il personaggio limite, cui manca la competenza teorico-pratica dei Sette, ma che è in grado di risolvere un problema concreto e particolare, pur non possedendo nozioni astratte e non sapendo cogliere regole generali. Esopo risulta contemporaneamente, secondo l'intelligente ritratto che ne ricostruisce Jedrkiewicz, dentro e fuori la cerchia simposiale.
Le sue favole servono, pur nel loro grado ridotto di veridicità, a migliorare la trasmissione del messaggio, sia all'interno del testo, nell'ambito della conversazione rappresentata, sia all'esterno, nella comunicazione con il lettore. La loro piacevolezza ha funzione propedeutica, coinvolge e indirizza a forme superiori di sapere. La "sophia" esopica si conferma perciò come forma di conoscenza primaria nell'ambito di un discorso serio-comico, una conoscenza tuttavia assimilabile, secondo la concezione plutarchea, anche alle dottrine che riguardano la sorte dell'anima e i suoi rapporti con la dimensione corporea dell'individuo.
In quanto forma retorica e letteraria la favola rimane "ancilla philosophiae", e pur tuttavia Plutarco, ammettendo Esopo nel suo "Simposio", dimostra, secondo Jedrkiewicz, di prenderlo sul serio. Sicuramente più di Quintiliano, che lo riservava agli ignoranti, o della "Vita" anonima, redatta probabilmente tra I e IV secolo, che lo giudica una sorta di barbaro, protagonista di un antisapere. Luciano, nel secolo successivo, porterà alle estreme conseguenze il personaggio delineato da Plutarco, con non dissimile ironia: ne farà un "gelotopoios", un tipico parassita da convivio, la cui cultura popolare non viene esorcizzata, ma garbatamente proposta a un pubblico di persone colte.
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