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Certo, può essere affascinante poter 'vedere' coi propri occhi come evolve la storia di una donna campana, che cresce in un paesino e si trasferisce in città per mettere su famiglia, e come si intreccia la sua vita con quella dei quartieri napoletani e di chi li abita, ma per chi ci vive già di suo non è forse poi così interessante perchè già sa, già vive le stesse quotidianità. La cosa più interessante per me è stato l'uso del dialetto più arcaico, quello che sta sparendo, e ho avuto così modo di poter chiedere a parenti più anziani il significato di determinati vocaboli, ma tutto qui. Lettura leggera tutto sommato; niente di strambo, sconvolgente, assurdo, da napoletana.
Scritto con una prosa ricercata a tratti visionaria, questo racconto mette in scena in modo quasi teatrale le vite delle "anime" che popolano i vicoli dei quartieri napoletani, tra beghe familiari e lotta per la sopravvivenza. Il lettore viene letteralmente trascinato in uno spaccato sociale che evolve dal Dopoguerra in avanti e nel rapporto madre/figlia di Rosa e Vicenzina, ma alla fine è come se ci fosse qualcosa di incompito. Libro non semplice che può avere vari piani di lettura.
Libro di difficile lettura ma che raggiunge l’anima. Una scrittura “alta” e complessa che si avvolge in spire sinuose e contorte, unghiata come il “vico” di una Napoli pezzente e caciarona. Storia di donne, di madri e di figlie che si amano e si odiano ma che non possono prescindere le une dalle altre. Uomini in sottofondo, figure meschine per lo più. E’ una società matriarcale per eccellenza quella che sopravvive nei bassi di questo mondo racchiuso negli afrori e rumori di una città che è “femmina” e che si ama o si odia ma non può lasciare indifferenti. Le anime finte sono inverosimili ma contemporaneamente più vere del vero. La malattia e la sopravvivenza come filo conduttore del racconto. Niente di patinato come nell’”Amica Geniale” della Ferrante ma tutto pesante, viscerale e difficile e che arriva nel profondo. Bel libro.
Recensioni
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“Ma’, ti devo dire una cosa”. Non sono io che parlo. È la paura. Sta passando un respiro impaurito tra il suo corpo e il mio. “Fa’ ampressa, sto murenno”. Forse non se n’è accorta. Non ha sentito che è già morta, che mi sta rispondendo da un letto di foglie, che la sua voce scivola sotto le riggiole e poi risale come un alito asserragliato lungo il muro.
L’opera di Wanda Marasco (già finalista al Premio Strega con Il genio dell’abbandono nel 2015), candidata al premio Strega 2017, è un gioiello di narrativa.
La storia di un’infinità di anime finte che vivono un’esistenza misera nella città di Napoli tra la fine dell’Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento.
È la storia di una famiglia, lungo tre generazioni di donne e uomini, la storia della miseria, della disperazione, della povertà. La voce narrante è quella di Rosa, la donna che fa da collante a queste generazioni, ma la vera protagonista dell’epopea familiare è sua madre, Vincenzina. Mentre quest’ultima è sul letto di morte, Rosa ripercorre con la memoria il proprio passato e quello della propria famiglia, ricordando ogni particolare sordido e deprimente, confessandosi a quella madre così forte e così debole allo stesso tempo.
Ripercorre le tragedie familiari, rivede gli amori nascenti, tra Vincenzina e suo padre, Rafele, e prima ancora tra le loro madri e i loro padri. Rivive ogni dolore inferto alla madre dal marito e dalla sua famiglia, rivive la fanciullezza e le morti dei cari, rivive una vita tragica e drammatica, arricchita dalle descrizioni di personaggi secondari (come il femminiello Mariomaria, protagonista di un capitolo carico di tensione e frustrazione) magistralmente presentati dalla scrittrice.
L’infanzia povera di Vincenzina nelle campagne di Napoli, la storia d’amore con Rafele, il matrimonio, la costruzione di una famiglia tra mille difficoltà, la scomparsa del marito e il lavoro da usuraia. Tutto è imperniato di dolore, velato da un sottile tulle grigio che ne distorce la visione e ne incupisce ogni aspetto.
È un romanzo che tocca il cuore, fa commuovere, entra nelle viscere e le fa contorcere. Toccante, assurdamente drammatico ed impreziosito dalla scrittura di Wanda Marasco; scrittura che è poetica, misto di italiano ed espressioni napoletane, dolce nel descrivere violenze atroci, dura nel raccontare i legami di sangue.
Recensione Eros Colombo
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