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Immaginiamo che l’avversione verso immigrati clandestini, rom, gay, ecc si estenda anche verso altre classi sociali, quali ad esempio i radical chic, considerati colpevoli di ingannare il popolo ‘bue’ usando frasario e parole complicate, per sfruttarne a proprio vantaggio la sua ignoranza e dabbenaggine. Il tutto prende spunto dall’assassinio di un radical chic, il prof. Giovanni Prospero, dopo aver partecipato ad un talk show televisivo ove erano emerse critiche da parte dello stesso conduttore sul suo atteggiamento e discorsi da intellettuale. Ne consegue una pericolosa campagna d’odio che porta all’assassinio di un altro intellettuale. Il governo deve prendere provvedimenti immediati per arginare il fenomeno. Per questo e per tutela di altre possibili vittime viene redatto un ‘Registro Nazionale degli Intellettuali e dei Radical Chic’ , per poterli censire e catalogare, in base alle abitudini di vita, le letture, i social frequentati. I caposaldi di questo provvedimento si fondano sulla abolizione per legge della ‘complessità (considerata umiliante, noiosa, superba, elitaria e antidemocratica) per privilegiare invece la ‘semplificazione’ in ogni campo. In tale contesto gioca un ruolo fondamentale il ‘Garante per la semplificazione della Lingua Italiana’, col compito di eliminare dal vocabolario e dall’uso corrente parole complesse, desuete, di difficile comprensione per la gente comune. La regola si applica già nella esposizione dello stesso racconto (come se Papi volesse/dovesse già mostrare un esempio del nuovo corso letterario imposto dal ‘governo’) , che viene puntualmente purgato e corretto laddove emergano locuzioni complesse o di difficile comprensione. Curioso, surreale, a tratti ironico …. Tre stelle possono bastare.
Lettura scorrevole ma la trama è piuttosto banale, il che è un peccato perché le potenzialità c'erano. Un'occasione mancata.
Una scrittura pasticciata, ruffiana, ammiccante. Non mi è piaciuto.
Recensioni
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A cura di: Il Rifugio dell'Ircocervo
«Il primo lo ammazzarono a bastonate perché aveva citato Spinoza durante un talk show». In copertina una chiazza di sangue si allarga sotto una poltrona; dalla poltrona spunta una mano che stringe ancora un libro color pastello, ragionevolmente Adelphi: è l’assaggio che offre di sé Il censimento dei radical chic, romanzo di Giacomo Papi uscito per Feltrinelli a febbraio, a chi si aggira distrattamente tra gli scaffali di una libreria.
Siamo in Italia, al giorno d’oggi; per dirlo con una metafora, l’Italia fotografata dal Censimento dei radical chic è quella che conosciamo, ma passata attraverso Photoshop: il soggetto è quello, l’inquadratura è più o meno quella, i colori sono piuttosto ritoccati ma non al punto da rendere irriconoscibile l’immagine.
In questa fotografia appare un governo retto da persone che fanno dell’ignoranza una virtù (soggetto di stretta attualità), guidato dal Primo Ministro dell’Interno (inquadratura leggermente spostata, ma comunque molto familiare) il quale, per difendere il popolo dagli intellettuali e gli intellettuali dal popolo, istituisce un registro delle persone istruite, ovvero “radical chic” (tratti molto ritoccati, ma non in modo impensabile). In parallelo all’istituzione del registro il governo procede a una depurazione della lingua italiana da tutte le parole di uso non popolare: da “abominio” a “Illuminismo” a “sintetico”, quest’ultima con l’importante distinzione «non il tessuto, naturalmente, ma il giudizio a priori kantiano»[1].
Lo stesso libro Il censimento dei radical chic è stato vagliato con cura, come certifica il rassicurante timbro rosso sulla quarta di copertina, dall’Autorità Garante per la Semplificazione della Lingua Italiana (ai sensi del decreto-legge 17/6, n. 1728): tutte le parole difficili sono state cancellate e sostituite con altre di uso più comune, ad esempio: «Mentre faceva il suo ingresso nell’emiciclo, accompagnato da una pletora7 [nota 7 a piè di pagina: sostituire “pletora” con “compagnia” o “seguito”] di assistenti»[2]. Tuttavia la cultura è un oggetto infido, e può tentare anche un insospettabile funzionario dell’Autorità Garante o addirittura il Primo Ministro dell’Interno (se uno inizia a leggere poi rischia di prenderci gusto).
A leggere la quarta di copertina e il fulminante inizio «Il primo lo ammazzarono…» viene da pensare che Il censimento dei radical chic sia un libro molto divertente e molto ironico; al netto di un’ironia effettivamente pervasiva e alcune scene esilaranti (come quella in cui un “radical chic” tortura un funzionario dell’Autorità leggendogli Heidegger che sottilizza sulla cosalità della cosa) si può però dire che ci sia poco da ridere. Il romanzo prende sfumature sempre più fosche, e assume i contorni di un libro di vera e propria denuncia.
Non si tratta qui di difendere i “radical chic” ma di difendere la libertà e i diritti. Il professor Prospero viene ucciso per una citazione in un confronto televisivo con il Primo Ministro dell’Interno: la democrazia muore fra gli applausi del pubblico. Sembra aleggiare nel libro l’adagio di quel sermone di Martin Niemoller che suona più o meno così (non c’è accordo sul testo definitivo):
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.
Si può dire che in questo libro i potenti vengono a prendere gli intellettuali; ma specificando che per intellettuale si intende chiunque possieda un certo numero di libri Adelphi e/o un maglione color aragosta e/o una giacca di tweed.
La ghettizzazione delle persone istruite così come la ferocia manichea che distingue il mondo in due categorie, popolo ed élite, porta la società verso l’abisso: la guerra civile. E i primi a farne le spese sono proprio quelle persone che si sentono a disagio sia fra i molti che fra i pochi: in un simile clima di violenza, sembra suggerire l’autore, c’è il rischio che prima o poi qualcuno fra questi, a difesa della cultura, arrivi a mettere le bombe.
Recensione di Adriano Cecconi
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