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Scelto e introdotto da Michela Murgia, il libro inaugura un progetto della casa editrice dedicato a Grazia Deledda.
«Deledda ha una capacità simile a quella di Delitto e castigo e de I fratelli Karamazov di ritrarre la potenza trascinante del peccato» - A. Momigliano
Ragazza madre, la giovane Olì abbandona il figlio di otto anni, Anania, alle cure del padre benestante e di sua moglie, così da garantirgli un futuro migliore. Il bambino cresce a Nuoro, nella casa paterna, studia e si fidanza con una ragazza facoltosa, prima di trasferirsi a Roma per frequentare l'università. Il ricordo della madre è vivo nella sua mente, ma la vergogna di essere nato da una relazione extraconiugale e da una donna disonorata è a lungo più forte delle sue ambizioni borghesi, che rischiano di essere minate da un legame inviso alla società. Nessuna distanza, però, né fisica né sociale, attenua l'inquietudine interiore del protagonista. Rientrato in Sardegna, Anania scopre che la madre è ancora viva. Si decide perciò a tenerla con sé, sfidando le regole non scritte di una civiltà misogina, fino alla più sorprendente delle conseguenze.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Romanzo bipolare di luce e buio. Luce è nel paesaggio sardo, magnificamente descritto, il Gennargentu e i monti azzurrini nella lontananza, proprio come li dipingeva Leonardo, i cieli di cristallo, il vento impetuoso che spazza la pianura, le grandi valli della Barbagia, come immense conchiglie grigie e verdi, “le vette luminose quasi profilate d’argento”. Il buio è la vita della popolazione sarda, ben descritta dai lamenti acuti della misera Rebecca, piagata e riversa su lurida stuoia, fra nugoli d’insetti e mosche: c’è “tutto il dolore, il male, la miseria, l’abbandono, lo spasimo non ascoltato del luogo e delle persone”. Le abitazioni ridotte a catapecchie: “il lamento delle pietre che cadevano ad una ad una dai muri neri nelle casette preistoriche, e i tetti che si sfasciavano, delle scalette esterne e dei poggioli di legno che minacciavano rovina […] gente che non mangiava, donne che non avevano vesti uomini che si ubriacavano […], malattie non curate, miseria accettata incoscientemente come la vita stessa (pp. 75-76). E’ qui che la quindicenne Olì Derios, innamorata di uomo sposato, partorisce il piccolo Anania, che poi è costretta ad abbandonare, a sette anni, a Nuoro, a casa di Tatàna, matrigna che lo accoglie con affetto. Il romanzo segue il miglioramento della vita di Anania che, grazie all’aiuto di un ricco possidente, riesce a studiare a Cagliari e poi addirittura a Roma in Università. La sua psiche però è rosa dal tarlo dell’abbandono della madre, di cui ha perso notizie e che pensa viva di prostituzione nella capitale, dove però non riuscirà a trovarla. Alla fine riuscirà a scovarla proprio a Fonni, il villaggio da cui erano partiti in gioventù, malata e ridotta in miseria. Finirà in tragedia, però, vita ridotta in cenere, proprio come nel titolo del romanzo. Finissima scrittura di Deledda, che preconizza la fragilità umana e il dolore dell’esistenza di Canne al Vento. Plauso a Utopia Editore per aver riportato alla luce questo prezioso scritto.
La superstizione, la cappa onnipresente delle credenze religiose, l'amore fatto di attese, sguardi, sfioramenti che creano allegria ansia e malcelata insoddisfazione. "....gente meschina, povera e violenta.....che, nonostante tutto, era sempre allegra...". La natura ascolta e guarda, Nuvole color latte, spighe ingiallite, lugubri versi di neri uccelli. Un ragazzo che, seppur con scelte opinabili, cerca di diventare Uomo.
Meravigliosa! Una scrittura poetica, intensa, una Sardegna dura, stupenda, inesorabile. Per tutto il libro si respira un'aria di miseria e degrado eppure la vita pervade ogni pagina, nella fame, nella sporcizia nell'alcolismo c'è sempre sempre un desiderio di vita.
Recensioni
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