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Vincitore del Premio John Fante Opera Prima 2019.
Con la lingua precisa e affilata del poeta, Daniele Mencarelli ci offre con grazia cruda il racconto coraggioso del rifugio cercato nell'alcol, della spirale di solitudine, prostrazione e vergogna di quegli anni bui, e della progressiva liberazione dalla sofferenza fino alla straordinaria rinascita.Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ho sofferto leggendo questo libro, soprattutto di fronte al dolore della famiglia di Daniele, di una madre e un padre che nulla possono di fronte ad una dipendenza, se non esserci e incassare il dolore. Ho amato i colleghi di lavoro, che hanno saputo accogliere e con pazienza legarsi a Daniele delicatamente, con l'amicizia dei semplici.
Le vicende narrate da Mencarelli sono così reali, vissute in prima persona che colpiscono come pugni nello stomaco.Impossibile rimanere indifferenti. Ha un modo di raccontare che non puoi non immedesimarti in lui, vivere ciò che sta vivendo lui. Un libro che suscita emozioni forti.
[Dal blog: SaraScrive] Ho “conosciuto” Daniele Mencarelli grazie ad una delle pillole di lettura postate da Lino Guanciale nel suo programma di condivisione #baronirampanti. Il libro cui Guanciale dava voce per meno di un minuto era Tutto chiede salvezza (vincitore del Premio Strega Giovani 2020 e presente nella sestina finale del Premio Strega 2020), un gioiellino, una perla rara che ho divorato in quattro ore e che mi ha spinta a leggere anche l’altro romanzo di Daniele Mencarelli, ovvero La casa degli sguardi di cui vi parlo oggi. Recensire un libro del genere è complesso, terribilmente complesso, ho paura di non riuscire a rendere bene tutto quello che è racchiuso in poco più di duecento pagine. Come già mi era successo con Tutto chiede salvezza, anche questa volta Mencarelli mi ha lacerata e la cosa che più mi ha colpita è stato nuovamente il suo stile. Potrei dire che il libro è poetico ma risulterei stucchevole e indubbiamente ridondante, il libro è, è e basta. C’è e nel suo esserci testimonia un mondo, una vita complicata resa in modo assurdamente autentico con una prosa che è quasi un racconto. Mencarelli è un autore con la “a” maiuscola perché scrive con una leggerezza incredibile di cose terribilmente complesse e sfaccettate. Si apre al lettore, si svela in qualche modo, ma lascia un segno profondissimo nell’animo di chi legge. Non parlerò della storia in generale perché il libro va letto e assaporato, va scoperto pagina dopo pagina, va lasciato decantare nel profondo dell’anima. Se non avete mai letto nulla di Mencarelli vi consiglio di recuperare quanto prima, non vi staccherete più dal suo modo di scrivere, sarà praticamente impossibile scrollarvi di dosso tutto ciò che trasuda dai suoi libri. So di non essere riuscita nell’intento di rendere la bellezza del libro, lo vedo rileggendo le parole che ho scritto ma con Mencarelli è così, i suoi libri lavorano nell’anima del semplice lettore, gli scavano dentro e lo lasciano appesantito ma alleggerito.
Recensioni
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Non solo vita e disperazione, non solo degrado e morte (sociale e psicologica), qui c’è posto per la rinascita, per la resurrezione. Il dolore e la devastazione, la discesa agli inferi, con genitori impotenti al capezzale, con un perenne quotidiano oblio con cui fare i conti, sono vissuti dal protagonista del romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli, La casa degli sguardi (228 pagine, 19 euro), pubblicato da Mondadori: il libro speciale, magistrale, in prosa di un poeta, destinato ad arrendersi all’alcol, alla solitudine, a un incidente, ai pianti, all’incoscienza e invece rinato dove un amico gli trova un lavoro, al Bambin Gesù, l’ospedale per l’infanzia del Gianicolo, a Roma, in una cooperativa che si occupa dei servizi. Chi, colpevolmente, come chi scrive, non si fosse accorto del passaggio in libreria di questo volume prezioso, si fidi, torni indietro.
La materia è incandescente, ma Mencarelli – che racconta una vicenda di fine anni Novanta – non cede mai alla retorica e nemmeno ala scrittura di versi fra le righe: si immerge in un altro mestiere, accettandone le regole, ma comunque sorprendendo, con sensibilità ed empatia. Il dolore intimo, individuale, personale del protagonista, tra i corridoi dell’ospedale, cede il passo a quello dei piccoli ricoverati, di certe loro vite che sono veloci calvari e si concludono con la morte («…se ci sei tu, Dio, dietro tutto, perché non hai preso me? O qualsiasi altro adulto sulla faccia della terra?»). La vita non sta nell’autocompatimento e nelle sbronze in cui annientarsi, semmai nel lavoro, anche umile, nel coraggio e nella lotta. Non bisogna aver paura della vita, sembra dirci Mencarelli e non è affatto scontato scriverlo, raccontarlo, viverlo, accendere una luce in modo consapevole…
Nella caduta e nella risalita il lettore che si accosta al romanzo di Mencarelli rintraccerà un’energia emotiva capace di lasciare, a lungo, riverberi dentro. L’intima riflessione tra le stanze dell’ospedale, gli schiaffi in faccia dell’estremo male e dell’estremo bene, il riscoprirsi uomini quando il dolore più incomprensibile e furioso sbatte addosso e si abbatte su anime innocenti (si pensi ad Alfredo, detto Toc Toc): ci sono tutte queste cose in pagine che vanno assaporate lentamente, per farci i conti davvero, anche quando disturbano, anche, soprattutto, quando non concedono alibi. È così che la memoria ha la meglio sull’oblio, i rapporti umani prevalgono sul vuoto, la poesia e la scrittura (che però da sola non è un farmaco ai mali della vita), sia pure dolenti, fanno evaporare il vino bianco e l’autodistruzione.
C’è un concentrato di sofferenza in questo libro da far impallidire i piccoli quotidiani impicci in cui possiamo imbatterci. C’è un uomo di venticinque anni fragile e forte, consapevole del dolore di cui è causa fra quanto lo amano, che ce l’ha fatta. Destabilizzato dall’alcol, ma ancor più dalla realtà con cui impara a fare i conti tutti i giorni. Eppure c’è gioia, in fondo, c’è anche un addestramento alla leggerezza (i maestri sono i colleghi del protagonista), c’è la vita. Mencarelli va apprezzato per il coraggio e aspettato per le prossime parole che vorrà regalare ai lettori. Se vorrà esprimersi in versi, in prosa, a gesti, muovendo le pupille, i suoi lettori, vecchi e nuovi, lo aspetteranno a braccia aperte.
Recensione di Arturo Bollino
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