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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
Promo attive (1)
Vincitore del National Book Award 2017
Finalista Premio Mare di Libri 2020
Salvare le ossa, Jesmyn Ward torna nel suo Mississippi, una terra in cui il legame con le origini, i vincoli di sangue e la natura sono fatti di amore e violenza, colpa e speranza, umanità e riscatto.
«Canta, spirito, canta, che incredibilmente riesce ad assorbire le presenze dei fantasmi come presenze reali, è una sorta di resa dei conti sull’identità razziale nel vecchio Sud: ogni nodo viene al pettine, inestricabile. » - Susanna Nirenstein, Robinson
«Un libro crudo e potente, che emozionata molto. E denuncia: il razzismo di ieri e quello, ancora forte, di oggi» - Giulia Ziino, Corriere della Sera
«Io lo so cos'è la morte, almeno credo. È qualcosa che potrei guardare in faccia: almeno credo.»
Jojo ha tredici anni, e cerca di capire cosa vuol dire diventare un uomo. Vive con la madre Leonie, la sorellina Kayla e il nonno Pop, che si prende cura di loro e della nonna Mam, in fin di vita. Leonie è una presenza incostante nella vita della sua famiglia. È una donna in perenne conflitto con gli altri e con se stessa, vorrebbe essere una madre migliore ma non riesce a mettere i figli al di sopra dei suoi bisogni. Quando Michael, il padre di Jojo e Kayla, esce di prigione, Leonie parte con i figli per andarlo a prendere. E così Jojo deve staccarsi dai nonni, dalla loro presenza sicura e dai loro racconti, che parlano di una natura animata di spiriti e di un passato di sangue. E mentre Mam si spegne, gli spiriti attendono, aggrappati alla promessa di una pace che solo la famiglia riunita può dare. Dopo «Salvare le ossa», Jesmyn Ward torna nel suo Mississippi, una terra in cui il legame con le origini, i vincoli di sangue e la natura sono fatti di amore e violenza, colpa e speranza, umanità e riscatto. Scritto in una lingua aspra e poetica, «Canta, spirito, canta» guarda nelle profondità dell'animo umano come dal ciglio di uno strapiombo si guarda l'infinita distesa del mare, che lascia sgomenti, inebriati e commossi.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Dopo lo splendido ‘Salvare le ossa’, questo romanzo conferma il talento della Ward. Nella sua scrittura il realismo si mescola felicemente ad elementi trascendenti. In luogo dei miti greci del lavoro precedente, qui compare una sorta di religione sincretica (fusione di animismo tribale e cattolicesimo) che ad alcuni offre particolari doni ereditari: sentire la voce di ogni essere vivente e talvolta vedere i fantasmi di coloro che sono morti in modo violento. Al centro del racconto ci sono di nuovo le vicissitudini di una famiglia dai difficili rapporti parentali e dalle disagiate condizioni economiche. Il razzismo resta un elemento chiave, evocato attraverso le atrocità di un passato recente, ma ancora ben presente in una società che ostacola le unioni miste. Tre voci si alternano, dando sostanza a caratteri sfaccettati e non pacificati, in cerca di amore e redenzione.
Bellissima storia
Ho letto questo romanzo senza aver letto il precedente e, nonostante alcuni piccoli richiami, non ho avuto grandi difficoltà. Il libro si incentra sulla storia di un ragazzino e di sua sorella che partono con la madre per recuperare il padre che sta per uscire dal carcere. Durante il viaggio scopriamo qualcosa di più sulla vita della famiglia di questo ragazzo e sugli episodi di razzismo che i vari membri hanno vissuto essendo tutti neri. Un libro molto bello adatto per ragazzi e per un pubblico più adulto.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
IL RIFUGIO DELL'IRCOCERVO - letterature, mondi e animali mitologici
All’inizio di Salvare le ossa – il primo libro della trilogia di Bois Sauvage di Jesmyn Ward, National Book Award nel 2011 – la protagonista, Esch, racconta di un tema che ha scritto a scuola e di cui va molto fiera: è stata l’unica della classe in grado di spiegare perché il bambino di Mentre morivo è convinto che sua madre sia un pesce. Qualche anno dopo – nel 2017, ma in Italia solo quest’anno – Ward pubblica Canta, spirito, canta, secondo capitolo di quella trilogia, e diventa l’unica donna della storia a vincere un secondo National Book Award. Anche questa volta c’entra Mentre morivo, ma in modo più profondo.
Breve parentesi per quelli meno preparati – se non vi sentite nella categoria avete il diritto di saltare questo paragrafo. Mentre morivo è il capolavoro di William Faulkner. Scritto in sei settimane, mentre il grande premio Nobel americano faceva l’operaio in una centrale elettrica. Racconta il viaggio di una donna morta: i figli e il marito la mettono in una bara e la portano al paese dove ha chiesto di essere seppellita. Chi l’ha letto sa che la trama non è sufficiente a spiegare questo romanzo. Ciò che sconvolse tutti, all’epoca, era l’esplosione dei punti di vista dei personaggi in tanti monologhi separati: quindici voci – compresa quella della morta – ognuna con la sua idea di mondo e con le sue fissazioni. Non si tratta del romanzo più sperimentale di Faulkner – leggetelo dopo L’urlo e il furore: tirerete un sospiro di sollievo – ma per qualche motivo è il più potente: non c’è uno scrittore contemporaneo che non ne abbia sentito l’ombra lunga addosso. Jesmyn Ward compresa.
Chiusa parentesi. Adesso, in due parole, la trama di Canta, spirito, canta. Leonie, una mamma poco amorevole, prende con sé il figlio grande, Jojo, e la figlia piccola, Kayla; salgono in macchina e vanno a prendere Michael, il padre dei bambini, appena uscito di prigione. Un viaggio di andata e ritorno. Questa storia esilissima è magnificata dalla tecnica che Ward sceglie per raccontarla: un palleggio di prime persone, come in Mentre morivo; alternandosi, Jojo e Leonie portano avanti la storia un pezzetto alla volta, ognuno a modo suo. Mentre compongono a turno il puzzle di questo viaggio, dipingono indirettamente la scenografia della loro incomprensione reciproca: l’odio di un figlio per una madre scriteriata, l’amore di una madre incapace di dimostrarlo.
L’espediente del viaggio e la struttura corale inseriscono Jesmyn Ward in uno dei solchi letterari più solenni, difficili della letteratura mondiale, ma non sono gli unici elementi di vicinanza con Mentre morivo. L’eredità pesante che Canta, spirito, canta si porta dietro è di sostanza: l’ambizione di attraversare la morte, di confrontarsi con lo spirito e con gli spiriti. Se il primo volume della trilogia, Salvare le ossa, era un romanzo radicalmente realistico, un groviglio di destini umani, questo secondo capitolo alza l’asticella e nella traiettoria dei personaggi inserisce i morti: gli spettri degli ammazzati che non hanno trovato pace aleggiano tra le pagine, parlano con i vivi, contribuiscono a determinare i loro destini.
È un dono speciale della famiglia, quello di riuscire a vedere i morti. Lo dice la vecchia Mama, stesa nel suo letto in attesa dell’ultima ora: lei non è esattamente in grado di vederli, sente delle cose. Leonie, invece, quando si droga vede il fratello ucciso anni prima. Jojo, il più portato, riesce a capire il linguaggio degli animali e a un certo punto vede Richie: un’anima in pena che arriva da certe vicende non chiarite della gioventù di nonno Pop. Questa trovata di inserire il sovrannaturale in un mondo umile, fatto di fango e lattine accartocciate – lo stesso mondo che aveva cominciato a delinearsi in Salvare le ossa e che qui continua con personaggi diversi – è fortissima, ma solo nella prima metà del romanzo. Con l’avvicinarsi della resa dei conti la sensazione è che Jesmyn Ward non riesca a trovare una chiusa, un punto in cui tutto questo mistero, questa spiritualità esposta, possa tornare e produrre senso. In certi momenti mi è sembrato che il romanzo fosse costruito intorno a un buco nero: tutto ciò che è concesso al lettore è girarci intorno, senza poterlo afferrare. Spetta a voi decidere se la cosa vi piace.
A chi ha letto Mentre morivo, questo romanzo potrebbe sembrare una freccia scagliata troppo in alto. Bisogna ignorare l’ambizione, a mio parere evidente, di confrontarsi con un modello gigantesco, e a quel punto tra le mani ci rimane nient’altro che un romanzo notevole, di cui difficilmente si può parlare male. Per dire, la tecnica del passaggio dei punti di vista è retta benissimo. Il mondo rappresentato appare complesso come la vita vera, pieno di riflessi. I personaggi hanno autonomia e profondità di pensiero, entrano in conflitto in modo radicale, si provocano ferite esistenziali – e per noi che sentiamo la versione dei fatti di ciascuno è impossibile puntare il dito verso il cattivo. Nonostante si parli del Mississipi, di una cultura e di un contesto lontani dai nostri, leggendo ci è dato trovare la disposizione dei piccoli e grandi sentimenti che proviamo ogni giorno.
Un giudizio vero e proprio potremo darlo però solo alla fine: aspettiamo il terzo romanzo di Bois Sauvage per capire dove Jesmyn Ward sta cercando di portarci. Il primo, Salvare le ossa era un romanzo di madri: la mamma morta per dare al mondo il piccolo Junior, la gravidanza indesiderata di Esch, il parto della cagnetta China. Canta, spirito, canta invece è, secondo me, un romanzo di padri. Di padri che mancano, di figli che si improvvisano genitori. In assenza di una figura maschile, è nonno Pop a fare da padre a Jojo, e Jojo fa da padre alla sorella Kayla. L’amore tra Leonie e Michael, intanto, si consuma in solitudine, in una macchina che corre via, lontano da casa; è un incendio che non risparmia neanche i figli, che brucia la famiglia, brucia tutto.
Pierpaolo Moscatello
È la morte ad entrare in scena nelle prime pagine di Canta, spirito, canta questo sorprendente romanzo di Jesmyn Ward, che come il primo della trilogia di Bois Savage, Salvare le ossa (ne abbiamo scritto qui), ha vinto il National Book Award. Il tredicenne Jojo assiste il nonno Pop mentre sgozza la capra destinata a portata principale del pranzo per il suo compleanno.
Non poteva esserci inizio migliore: la morte è una sensazione di decadenza che aleggia sulla famiglia dissestata di Jojo, quel ritratto autentico di famiglia afroamericana del Mississippi che cerca di tirare le fila di una vita di povertà, di discriminazione e di esclusione sociale. La morte è la droga di mamma Leonie e della sua amica Misty, è il passato di schiavitù e il lavoro nei campi di nonno Pop, è la prigione di Parchman Farm che nel suo ciclo di violenza offusca ogni via di uscita.
C’è solo una cosa che impedisce una distruzione altrimenti inevitabile: è la forza redentrice delle storie. E le storie sono quelle di nonno Pop che Jojo non smetterebbe mai di ascoltare e che gli ricordano il passato di prigionia e lavori forzati che segna le generazioni della sua famiglia come un marchio indelebile di sofferenza.
«Mi racconta le storie. A volta mi racconta la stessa storia anche tre o quattro volte. Quando racconta, la sua voce è come una mano tesa che mi accarezza la schiena, e posso schivare la paura di non riuscire mai a stare a testa alta come lui,a essere sicuro di me come Pop lo è di se stesso»
Jojo e sua sorella Kayla sono cresciuti da nonno Pop e da nonna Mama: la madre Leonie ha delegato la cura dei figli ai genitori e sembra sprovvista di istinto materno. La sua totale attenzione è rivolta al padre bianco dei suoi figli, Michael, con cui intrattiene una relazione instabile che si nutre di droghe, egoismo e risentimento.
Alla notizia dell’imminente scarcerazione del padre, Leonie decide di intraprendere un lungo viaggio in macchina attraverso lo stato del Mississippi per portare i suo figli a incontrare il padre dopo tre anni di assenza.
Durante il viaggio, che costituisce il nodo centrale del romanzo, si dipana la relazione tra JoJo e la madre grazie a un alternanza di punti di vista interni alla narrazione. Il lettore percepisce subito che tra madre e figlio il rapporto è di tensione latente: Jojo giudica i comportamenti materni senza esprimere un’esplicita riprovazione, eppure la madre sembra essere consapevole dello sguardo deluso del figlio quando si mostra indifferente dinanzi al malessere della figlia Kayla.
L’incomprensione e la mancanza di un rapporto autentico tra i due è amplificato dalla presenza di un forte tratto comune a entrambi: la capacità di vedere persone morte. Leonie vede Given, il fratello ucciso da un bianco all’età di 19 anni perché, in quanto nero, si era reso colpevole di aver superato un bianco a una battuta di caccia; Jojo vede Richie, il bambino impiegato nella raccolta del cotone nel campo di lavoro dove si trovava nonno Pop, arrestato insieme al fratello Stag a seguito di una rissa.
Le visioni, la consapevolezza dello spirito che permane ogni cosa, il canto, la tradizione vudù, sono tramandati nella famiglia da generazioni.
«Ce l’abbiamo nel sangue, credo» spiega Mama a Leonie «come il limo nell’acqua dei fiumi. Cresce a ogni ansa e a ogni curva, sopra gli alberi sprofondati. Affiora di generazione in generazione».
Proprio come le storie, anche l’elemento soprannaturale dello spirito infonde forza e consente di sopravvivere nei momenti dove sembra non esserci speranza ma solo il lavoro, piegare e alzare la schiena, dormire.
«Me l’ha insegnato il mio bisnonno. Diceva che c’è uno spirito in tutte le cose. Negli alberi, nella luna, nel sole, negli animali. Diceva che il più importante è il sole, Aba, come lo chiamava lui. Ma per avere un equilibro ci vogliono tutti, ci vuole tutto lo spirito che c’è in ogni cosa».
Con un lirismo mozzafiato e una critica serrata, il romanzo mostra l’immagine brutalmente reale della storia del razzismo degli Stati del Sud, dove un afroamericano può finire in prigione solo per il fatto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato o, come Richie, per aver rubato dalle carne salata spinto dalla fame. Come non sentire echi di Maya Angelou in queste pagine intense di storia americana, in particolare nel tema del surviving attraverso il ricordo della sofferenza ma anche della forza delle generazioni passate, come non richiamare il celebre fantasma di Beloved del romanzo Amatissima di Toni Morrison da cui la Ward stessa ha affermato di aver tratto ispirazione durante la stesura del libro.
Questo libro ci interroga e ci chiede come possiamo dimenticare quando il passato insegue le generazioni future e i confini tra passato e presente, tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, diventano sempre più labili.
La forza della Ward è in questa sua capacità di sferzare la nostra sensibilità con la delicatezza di una prosa poetica che amplifica l’empatia e le emozioni.
Recensione di Silvia Gasparoni
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