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Per scorrere, scorre, ma, con tutto rispetto per il vissuto, 330 pagine di videogame spara spara diventano difficili da sopportare.
É un libro di una durezza incredibile. L'autore racconta la guerra da protagonista attivo senza preoccuparsi di essere condiviso o capito. Uno spaccato di lucida, obiettiva e orribile realtà che, come accenna nel finale, la gente comune non può nemmeno immaginare. E non è un racconto di lontani tempi passati, di conflitti appartenenti ad un'altra epoca, è la narrazione di uno dei molti conflitti dell'era moderna, forse per questo ancora più spaventosi.
Secondo libro che leggo di Lilin. Leggermente più lento di Educazione siberiana ma nonostante questo credo che sia ben scritto ed articolato. Per quanto concerne il contenuto è un vero colpo allo stomaco. Diretto e crudo mette i brividi e fa comprendere ancora una volta che la guerra non è mai giusta nè la soluzione. Grande Lilin.
Recensioni
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- Ti hanno già detto dove ti mandano?
- Il Colonnello ha detto che mi mandano nei sabotatori… - Ho risposto con voce sfinita.
Lui ha fatto una pausa e poi ha chiesto con agitazione:
- I sabotatori? Cristo Santo, ma che gli hai fatto? Cos’hai combinato per meritarti questo?
- Ho ricevuto un’educazione siberiana.
Dopo aver pubblicato nel 2009 il romanzo rivelazione Educazione siberiana, Nicolai Lilin, giovane tatuatore nato a Bender, nella ex Unione Sovietica, ma italiano d’adozione, torna alla docufiction dando alle stampe un romanzo, se possibile, ancora più duro e intenso di quello precedente. Nel suo primo romanzo Lilin è il giovane protagonista di una storia di formazione che lo vede aggirarsi tra gang di adolescenti, riformatori minorili e famiglie criminali giunte dai quattro angoli della Russia in quella terra di nessuno che è la regione della Transnistria. Ma l’esperienza della strada, per quanto dura, non è niente rispetto a quello che lo aspetta al compimento dei diciotto anni: la leva obbligatoria nell’esercito della Federazione Russa.
Bastano pochi mesi di durissimo addestramento perché Nicolai Lilin, detto Kolima, venga catapultato all’improvviso e per due anni nel mezzo di un conflitto sanguinoso. In Cecenia, e nelle zone confinanti con il Caucaso del Nord, l’Armata Rossa sta conducendo la seconda operazione antiterroristica contro i gruppi indipendentisti e i loro alleati. Il nemico da abbattere è dunque l’esercito dei ribelli ceceni, appoggiati dai terroristi islamici addestrati in Afghanistan e finanziati dagli Stati Uniti e dall’Europa, ma per i soldati della Federazione Russa ogni bersaglio di quella guerra è semplicemente un “arabo”.
Ancora una volta Lilin si ritrova immerso in una comunità ristretta di individui pronti a dimenticare le regole tipiche della convivenza civile per rispondere ad un’unica esigenza primaria - la sopravvivenza - e ad un unico imperativo morale - la fratellanza tra sabotatori. I sabotatori sono un corpo speciale delle truppe d’assalto che viene impiegato nelle azioni militari a sostegno delle prime linee, dei parà e degli esploratori, per compiere interventi di disturbo nei confronti del nemico. Loro non portano le divise dell’esercito, non hanno lo stesso equipaggiamento e non seguono gli ordini gerarchici. Ogni azione richiede una dotazione di armi diverse, così come ogni situazione richiede l’utilizzo di tattiche particolari che l’ufficiale in comando, il Colonnello Nosov, veterano della guerra in Afghanistan, ha appreso sul campo di battaglia. I sabotatori hanno bisogno di muoversi in fretta e senza lasciare tracce, sono freddi, spietati e imprevedibili, per loro muoversi al buio e di notte è normale. All’interno del corpo dei sabotatori Kolima, il siberiano, è un cecchino. I suoi compagni, Mosca, Scarpa, Zenit e gli altri, gli hanno insegnato tutte le tecniche per non soccombere durante la battaglia, ma la precisione e la calma necessarie ad ogni cecchino, la freddezza che ti consente di abbattere il nemico guardandolo dritto negli occhi, l’ha imparata andando a caccia con suo nonno tra i boschi della Siberia.
Nel caos delle azioni portate a termine nelle zone interne degli Urali, sui costoni delle montagne a precipizio o negli edifici abbandonati di città fantasma, un gruppo di giovani soldati impara a conoscere la linea sottile che separa la vita dalla morte, l’uomo dalla bestia. Nella distruzione totale, nel delirio delle violenze e delle torture, Kolima smette di riconoscersi come essere umano e nello stesso tempo inizia a comprendere le ragioni che stanno alla base di un conflitto iniquo e inutile.
La scrittura è disturbante e crudele, un’esperienza toccante capace di testimoniare la regressione di un uomo nella spirale della distruzione e della follia. Una discesa negli inferi senza precedenti in Italia, dove la narrativa di guerra non era mai stata così spietata e spogliata da ogni ideologismo, disarmata al cospetto della tortura della memoria e del rimorso.
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