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Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2022
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Libro candidato da Renata Colorni al Premio Strega 2021
Il corpo di una scrittrice, in apparenza integro eppure danneggiato, diventa lo specchio della fragilità umana e insieme della nostra inarrestabile pulsione di vita. Francesca Mannocchi guarda il mondo attraverso la lente della malattia per rivelare, con una voce letteraria nuda, luminosa, incandescente, tutto ciò che è inconfessabile.
«Francesca Mannocchi, inviata in contesti bellici, scopre di essere stata colpita da una patologia neurodegenerativa. Reagisce scrivendo un memoir che è un attraversamento della malattia senza sapere ancora il finale» - Alessandra Sarchi, Robinson
«Per chi ha amato "Perdersi" di Lisa Genova, "Cosa sognano i pesci rossi" di Marco Venturino, o il prezioso "Davanti al dolore degli altri" di Susan Sontag, questa lettura è una pietra essenziale. Che ha il merito nudo di metterci in guardia. Dal bianco dei danni che tendiamo a comprimere, in cui crediamo di annegare quando gli altri ci guardano, provando a schivare il loro riflesso.» – Cristiana Saporito per Maremosso
«La vergogna è questa cosa qui. Ci rivela cosa siamo per gli altri, quanto valiamo nel catalogo dei vivi, ora che siamo guasti.»
Quattro anni fa Francesca Mannocchi scopre di avere una patologia cronica per la quale non esiste cura. È una giornalista che lavora anche in zone di guerra, viaggia in luoghi dove morte e sofferenza sono all'ordine del giorno, ma questa nuova, personale convivenza con l'imponderabile cambia il suo modo di essere madre, figlia, compagna, cittadina. La spinge a indagare sé stessa e gli altri, a scavare nelle pieghe delle relazioni piú intime, dei non detti piú dolorosi, e a confrontarsi con un corpo diventato d'un tratto nemico. La spinge a domandarsi come crescere suo figlio correndo il rischio di diventare disabile all'improvviso e non potersi quindi occupare di lui come prima. Essere malata l'ha costretta a conoscere il Paese attraverso le maglie della sanità pubblica, e ad abitare una vergogna privata e collettiva che solo attraverso l'onestà senza sconti della letteratura lei ha trovato il coraggio di raccontare.
Proposto da Renata Colorni al Premio Strega 2021 con la seguente motivazione:Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Coraggioso, introspettivo, terapeutico. Bello.
Il libro è veramente coraggioso e crudo, apprezzo molto la Mannocchi per il lavoro di report e giornalista che svolge ma questo libro è stato molto triggerante per me e ho avuto difficoltà a finirlo.
Devo dire che preferisco la versione reporter di Francesca Mannocchi. Questo libro, seppur molto vero, coraggioso e crudo, non mi ha lasciato molto. L'autrice non parla solo della diagnosi e della sua malattia, e ovviamente di tutto ciò che questo comporta, come la paura e l'accettazione, ma anche della maternità, del rapporto con i suoi genitori e un po' del suo lavoro, ma secondo me in maniera troppo ombelicale, al punto che certe situazioni e considerazioni, essendo di tutti, rischiano di scadere nel banale. Le pagine più intense sono quelle invece in cui Mannocchi solleva lo sguardo da sé e lo allarga, esprimendo la lotta quotidiana, le difficoltà, le ansie che sono comuni a tutti i malati cronici che ogni giorno devono confrontarsi con il progredire della malattia, gli esami di controllo, la terapia, l'assistenza sanitaria, gli impegni della vita familiare e professionale, il futuro ipotecato, i giudizi degli altri.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non è un libro sulla malattia, non è soltanto un’autobiografia. È un libro che parla di paura e quindi di coraggio.
Un libro che ha la capacità di caricarsi di istanze politiche muovendosi attraverso l’esperienza del singolo.
Francesca Mannocchi, giornalista documentarista spesso in zone di guerra, quattro anni fa scopre di essere affetta da una malattia degenerativa per la quale, ad oggi, non ci sono cure.
La malattia diviene filtro attraverso cui Francesca ora osserva e ripensa la vita.
Come cambia la malattia il nostro modo di essere figlie, madri, compagne, cittadine, donne? Come cambia il modo in cui siamo guardati dagli altri? Siamo mai stati visti davvero? Queste, tra le tante domande universali che Francesca ha il coraggio di scrivere e quindi di far esistere.
Come la pietra che sull’acqua crea cerchi concentrici, così la malattia è non mai il dramma del singolo ma si diffonde su famiglie intere, sulla collettività. Così la cura non è fatta solo di strutture ospedaliere.
Un libro che ci fa quel grande dono, ormai raro, di stupirci. Veniamo stupiti dal coraggio, dalla fragilità, dalla vergogna e dalla paura, dalla Bellezza che Francesca ancora sente.
Sono capitoli densi, scritti con parole asciutte e precise ma che sono altrettanto cariche di poesia. Francesca rivendica l’importanza e il peso delle parole ed è forse questa la piccola grande rivoluzione di questo racconto: il peso riconosciuto delle parole. Una parola che disturba, che non è mai vuota, mai leggera e che sconvolge tante vite con la speranza di rimettere in ordine, cambiare le cose.
Un libro che ci fa mettere in ascolto per andare oltre giudizi e pregiudizi. Che rivendica i bisogni, i diritti e i desideri di chi vive la condizione di malato e che da questa non accetta di farsi definire.
In ultimo, questa storia è una testimonianza di uno sforzo; della sfida per tenere insieme i pezzi e continuare a contenerli, a continuare a desiderare di “volere tutto”, nonostante tutto e tutti.
Recensione di Fabiola Zaccardelli
A cura del Master Professioni e prodotti dell’editoria - Collegio Universitario "Santa Caterina da Siena” in collaborazione con l’Università di Pavia
Bianco è il colore del danno è il nuovo libro di Francesca Mannocchi, in cui la giornalista e reporter di guerra lascia i consueti scenari bellici del Nord Africa e del Medio Oriente per approdare su un terreno altrettanto instabile e spinoso: la propria vita. È così che inizia questo insolito reportage, da un viaggio di lavoro, con la scoperta di un corpo che improvvisamente non risponde più agli impulsi, non si lascia guidare, non si fa più sentire. Perché questo è quello che fa la patologia autoimmune da cui è affetta Francesca, la sclerosi multipla, il cui «segnale massimo» è il bianco: il colore che nelle risonanze indica le lesioni che la malattia provoca al sistema nervoso. Attraverso il proprio corpo, la scrittrice racconta allora la sua storia, che è la storia lucida di una lenta presa di consapevolezza di sé, senza sconti né note di vittimismo, di una donna malata, che è anche e soprattutto madre, figlia e cittadina. Con uno stile conciso e una voce tagliente, l’autrice si mette a nudo, mostra un corpo che diventa nemico, rivela le proprie paure e le verità indicibili: il tempo che non le appartiene e che non è più futuro ma condizionale presente; la gravidanza «che ha fatto da leva alla malattia, le ha detto “Benvenuta, puoi entrare”»; il sentirsi madre inadeguata che forse non potrà occuparsi di suo figlio, o figlia non del tutto vista dai genitori che fanno fatica ad accettare la sua nuova condizione; il dover imparare a districarsi tra i ritardi e le lacune della sanità pubblica. Scrivendo, Francesca Mannocchi fa i conti con se stessa, prova a ricucire quello strappo che la malattia ha segnato nella sua vita, mette insieme i pezzi e decide di iniziare a vivere davvero, regalando ai lettori una storia intima ma anche collettiva, che è di resistenza e speranza.
Recensione di Marianna Mancini
A cura del Master Professioni e prodotti dell’editoria - Collegio Universitario "Santa Caterina da Siena” in collaborazione con l’Università di Pavia
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