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La storia di sei persone unite da un filo sottile eppure infrangibile. Di una famiglia che continua a separarsi, ma finisce sempre per ricongiungersi. Origini, che lasciano solchi pesanti, impossibili da cancellare. Che si mostrano come cicatrici. Deturpanti e complicate. Intenso ma proprio per questo molto bello.
Pesante..... Linguaggio forzatamente elaborato troppo carico che rende la lettura assai poco scorrevole, storia bella ma contorta. Sono stato spesso sul punto di abbandonare la lettura, fortunatamente sul finale migliora .
Condivido il parere di Tiziana, sulla fatica a leggere una scrittura aggrovigliata e appesantita da troppi flussi di coscienza a briglia sciolta. Io ho fatto una gran fatica iniziale ad entrare nella storia e soltanto nel finale sono riuscita ad appassionarmi un po' di più. Nel corso della lettura ho scoperto che l'autrice è stata una giudice del programma Rai "Masterpiece" e questa cosa, forse con un certo pregiudizio, mi ha colpito poco favorevolmente, non so perchè. In ogni caso il romanzo resta una buona opera prima - su un tema tutto sommato comune quali sono i ricongiungimenti familiari, ma narrati dalla prospettiva di una cultura diversa dalla mia - ma lo stile si pone sicuramente in modo ostico nei confronti del lettore.
Recensioni
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Non accade molto sovente che settimane prima dell'uscita di un romanzo d'esordio i giornali già parlino così tanto di un libro, del suo autore, della sua vita. E quando a farlo è un magazine popolare come Vanity Fair, la faccenda assume aspetti interessanti e sospetti.
È dunque con una certa dose di diffidenza dovuta al battage che lo precede, che ho preso in mano questo libro - pur sempre amato da Rushdie e dal New York Times - attendendomi qualcosa di simile a una delusione.
E invece sin dalle prime pagine questo romanzo davvero ti coinvolge. Sin dalla descrizione acuta e leggera di un marito che cerca di non svegliare sua moglie scendendo dal letto, anche se lei "dorme come una bambina" o "come un cocoyam, una cosa priva di sensi". Sin dal racconto di una banale fine per infarto che si colora inaspettatamente nel panorama ghanese che la circonda. Sin da quel piccolo particolare, le pantofole smarrite, lasciate da parte, ricercate in tutto il romanzo. Sin da quella considerazione sull'inevitabilità della morte di un neonato "il genere di cose di cui ci si preoccupa tanto in America e per nulla invece in posti come Riga o Accra". Perché così è la vita. Così è ancora oggi in molti paesi del mondo che non ricordiamo mai; così è stata fino a pochi anni fa anche qui, ma dei decenni trascorsi tendiamo a non ricordarci mai.
È strana la condivisione, il comune sentire che scaturisce come un rivolo d'acqua in queste pagine.
Si parla di Ghana, ma è come se si parlasse della Sila, della campagna emiliana o delle valli alpine. Ritroviamo qui l'universalità dei sentimenti e delle esperienze umane che generalmente sono patrimonio dei poeti. O semplicemente delle nuove generazioni di scrittori figli di un mondo "maggiore": più aperto, più disponibile, più multietnico.
Taiye Selasi ha coniato il termine afropolitan proprio per descrivere l'universo dei figli di africani immigrati degli anni Sessanta e Settanta che hanno raggiunto il traguardo dell'assoluta integrazione culturale, politica, sociale, economica nell'Occidente.
Il suo libro rispecchia questa esperienza personale e comune, descrivendo una famiglia sparpagliata nel mondo, narrandone le sue ragioni e le radici, i legami, le speranze, le delusioni e le sofferenze ma in modo molto contemporaneo, diretto, senza quell'eccesso di sentimentalismo che accompagna troppo spesso questo tipo di storie.
Avevo avuto qualche perplessità nell'affrontare un romanzo scritto tra New York Parigi e Roma, da un'autrice che pranza da Roscioli, vive al Vicolo delle Orsoline e a Trastevere, che ha un suo cocktail dedicato (una miscela di vodka e zenzero) allo Stravinskij Bar dell'Hotel de Russie, è stata selezionata tra i migliori venti scrittori sotto i quarant'anni dalla snobbissima rivista Granta e frequenta una certa élite internazionale radical-chic. Come può raccontare la verità o almeno una storia credibile? Incredibile, ma vero: può.
A cura di Wuz.it
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