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Libro di una storia atroce.
1980, Corea del Sud: decine di cadaveri sono ordinatamente distesi in una palestra comunale. Un putrido tanfo rende satura l’aria, è quasi impossibile respirare. ⠀ È così che si apre Atti Umani, un audace esercizio di memoria collettiva dove Han Kang sviscera una pagina della storia coreana sconosciuta ai più in Occidente. ⠀ Il dittatore Park Chung Hee è stato assassinato, in Corea del Sud vige la legge marziale. Gli studenti iniziano a riempire le piazze, chiedendo a gran voce libertà individuale e riforme democratiche. La risposta del governo non tarda ad arrivare: dieci giorni di ferro e fuoco culminano in una efferata carneficina che passerà alla storia come il massacro di Gwangju. Centinaia di ragazzi perdono la vita in modo estremamente brutale, migliaia di studenti vengono fatti prigionieri e torturati fino a dimenticare il proprio nome. ⠀ Han Kang dà voce a sette personaggi, a vivi e morti, per raccontare le ripercussioni che il massacro ha avuto nella vita di chi l’ha vissuto in prima persona. Tra presente e passato, speranze e sogni infranti, i protagonisti si confrontano con il loro triste destino: diventare carne da macello. Il risultato è una polifonia magistrale, fatta di parole spietate e violente che entrano sotto la pelle del lettore. ⠀ Un romanzo meraviglioso che ha spezzato il mio cuore in mille pezzi e che mai potrò dimenticare.
Siamo a Gwangju, una città della Corea del sud. È il 1980, anno del colpo di stato del generale Chun Doo-hwan, dittatore di destra che seminerà il terrore fino al 1988. Nel paese vige la legge marziale. Studenti e professori si ribellano. Chiedono libertà. La repressione, ordinata da Chun in persona, è spietata. Le cicatrici di quella rivolta sono le prime crepe del regime. Ma tra il terrore di quei giorni e la futura libertà c'è l'eterno incubo che tiene legati, in un filo resistente come un tendine di bue, le anime dei morti e i corpi esausti e persi dei sopravvissuti. Dong-ho, unondei protagonisti del libro, aveva quindici anni, in quel maggio del 1980, quando il suo corpo venne crivellato di colpi dai militari. Sotto la dittatura di Chun questi eventi furono presentati ai sudcoreani come una rivolta comunista. In occidente prevalse il silenzio. Han Kang, che a Gwangju è nata per poi trasferirsi a Seul pochi mesi prima del massacro, ha scritto, su questi fatti, un romanzo meraviglioso, un racconto crudo e poetico, terribile ma necessario. "Noi abbiamo la nostra dignità", afferma una delle protagoniste del racconto. Siamo noi che, prigionieri dei racconti ufficiali e dei silenzi complici, spesso non sappiamo riconoscerlo. Leggere libri come questo serve a remare nella direzione opposta. Consigliatissimo.
Recensioni
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“Io ti avevo afferrato la mano e ti avevo tirato avanti, verso la testa del corteo, mentre tu mormoravi fra te e te, in preda a una vacua incomprensione: I nostri soldati stanno sparando. Stanno sparando a noi. Ti avevo trascinato verso di loro con tutta la mia forza, cantando a squarciagola mentre tu sembravi sul punto di piangere. Avevo intonato l’inno nazionale assieme a tutti gli altri, il cuore che mi scoppiava. Prima che mi trapassassero il fianco con quel proiettile incandescente.”
Una cronaca di vite recise. Civili massacrati. Innocenti cui è stata strappata via la quotidianità.
18 maggio 1980. Gwangju, Corea del Sud. La rivolta popolare contro la dittatura militare di Chun Doo-hwan viene repressa nel sangue. I soldati sparano sulla folla: uomini, donne, bambini, nessuna distinzione. È l’inizio di un periodo di violenza, interrogatori e umiliazioni.
Dong-ho ha 15 anni e nella sparatoria perde l’amico Jeong-dae, non sa se sia morto o ricoverato in ospedale. Il senso di colpa lo spinge a cercarlo fra i cadaveri, a non scappare quando l’esercito minaccia di rientrare in città.
Eun-sook fa la redattrice, sottopone bozze di libri a una censura che estirpa dalle pagine ogni brandello di dolore. Era lì, con Dong-ho, e non è riuscita a convincerlo a tornare a casa. Ora ha sette schiaffi da dimenticare, uno per ogni confessione negata.
Jin-su è stato torturato, privato del cibo e del sonno. È stato lui a suggerire a Dong-ho di arrendersi se fossero giunti i soldati. Non trova pace, non può rifarsi una vita, si affida all’alcol per sprofondare nell’oblio.
La madre di Dong-ho ha creduto alla sua promessa di rincasare per cena, di mangiare assieme.
Seon-ju è stata calpestata e violata, lottando per una dignità in cui ora non si riconosce più. Da quando la sua luna si è spenta, non ha il coraggio di raccontare l’oscurità.
Han Kang, con parole crude ma eleganti, narra la storia di Dong-ho e di migliaia di anime schiacciate. È la voce di una nazione tradita dal proprio cuore, che ha guardato negli occhi la paura.
Recensione di Silvia Maffetti
Si ringrazia il Master Professione Editoria dell'Università Cattolica di Milano
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