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Un libro che ti fa vedere una Roma, forse scomparsa, attraverso una narrazione magnifica, coinvolgente e scorrevole.Bello
C'è di meglio. Ne avevo sentito parlare con toni entusiastici, ma è stata una delusione.
Un bambino treenne, scendendo da un autobus sulla via Appia insieme alla tata, ha la sua prima fatale e prodigiosa visione della capitale. Da qui nasce il suo rapporto di passione e dipendenza viscerale con la città, durato l’intera esistenza. Roma dai mille attributi: a testa alta, spaccona, paracula, livida, gialla, nera e nera, macera, frollata, femminona o meretrice o transessuale, elettrica e metallica, feroce e cadaverica. Metropoli e suburbio, in cui il protagonista ripercorre gli anni trionfanti della sua infanzia e giovinezza, attraversati da personaggi pubblici e privati mai banali, mai comparse, sempre prepotentemente incardinati nella loro provocatoria sfida al decoro borghese, al conformismo, all’acquiescenza. Nel passato di “quando Roma era Roma”, e non ancora quella odierna che muore assediata da burocrazia e arrivismo, Aurelio Picca indaga le facce dei “macellari”, delle portinaie e dei pescivendoli del mercato, dei “pederasti che fumavano col bocchino”, dei papponi e dei pizzicagnoli, delle “signoracce con le unghie rosse mangiucchiate, la tinta fatta in cucina, il rossetto sbavato”. Ne celebra criminali e artisti, che “sono una cosa sola. Feroci, spietati, nudi, estremi, senza paura, pronti a morire per cercare l’assoluto”. Città plebea e pagana, coloratissima e vociante di giorno; minacciosa, tossica e blasfema di notte. L’autore ne rimpiange le discoteche dall’”atmosfera di carne cotta e solitudine”, le gare rocambolesche con le auto, gli eccessi fisici e comportamentali. “Roma ha bisogno dell’orgoglio, delle sfide, di fasti cesarei e papali. Qui bisogna riprendere a sfottere il Mondo”. Picca alterna sapientemente il freddo resoconto cronachistico a termini dialettali e triviali, il gusto per il macabro ai riferimenti mitologici, il lirismo descrittivo all’imprecazione, l’autobiografia nostalgica allo scherno più arrogante, offrendoci una singolare rassegna di personaggi insoliti. Figure ai margini, non marginali, di una Roma carnale e arcana.
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