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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Trovato per caso su uno scaffale di usati, non mi spiego come ce se ne possa separare. Scorrevole, profondo, triste ed intimo. Una fotografia di Lampedusa e di tutte quelle persone che l'hanno vissuta. Stupendo
Doloroso, tremendo, ma bellissimo. Una scrittura fluida, scorrevole, senza tanti fronzoli, diretta e sincera come può esserlo solo un'esperienza vissuta in prima persona. Nessuna polemica, nessun accenno politico, solo la semplice narrazione di ciò che accade quasi ogni giorno, da anni, a Lampedusa. Un libro necessario per ricordarci che si sta parlando non di numeri ma di "esseri umani".
l'autore racconta la sua esperienza, accompagnato dal padre, vissuta a Lampedusa nell'assistere agli sbarchi di profughi. Il libro è molto bello per le sensazioni che ti provoca. I profughi, il rapporto con il padre in pensione che lo accompagna, il rapporto con lo zio malato terminale. insomma bello e coinvolgente, romantico, pieno di valori.. Ti fa riflettere, ti provoca uno stato di angoscia.
Recensioni
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Volere andare in profondità a una storia, cercare di capire, raccontare e testimoniare. Quello che fa Davide Enia con Appunti per un naufragio (211 pagine, 15 euro), edito da Sellerio e fresco vincitore del Premio Mondello per la sezione Opera italiana, con Michele Mari (Leggenda privata) e Laura Pariani (Di ferro e di acciaio, di cui abbiamo scritto qui). La storia è quella degli sbarchi di migranti a Lampedusa. Righe che finiscono spesso sui giornali nelle pagine di cronaca o in quelle di politica quando questa diventa contesa tra partiti. Numeri di persone tratte in salvo, numeri di persone decedute, numeri di uscite della Guardia Costiera. Ma dietro quei numeri, racconta Enia, ci sono delle vite, degli esseri umani.
“Possiamo nominare la frontiera, il momento dell’incontro, mostrare i corpi dei vini e dei morti nei documentari. Le nostre parole possono raccontare di mani che curano e che innalzano fili spinati. Ma la storia della migrazione saranno loro stessi a raccontarla, coloro che sono partiti e, pagando un prezzo inimmaginabile, sono approdati in questi lidi”. Un prezzo fatto di violenza “manco all’animali ci fanno le cose che fanno alle donne”, di morte ma anche di speranza. Lampedusa è solo una tappa dell’odissea di chi cerca una una di vita migliore. E molto spesso rappresenta il limen, il confine tra un prima e un dopo. L’approdo sull’Isola è una nuova nascita, un nuovo compleanno. Una data degna di essere festeggiata.
«Andate in giro a raccontare cosa avete visto perché ce n’è bisogno perché ce ne è bisogno, in continente non hanno le idee chiare di cosa stia accadendo davvero, ma non intendo cosa accade qui a Lampedusa un punto di passaggio, la tappa di una odissea, mi riferisco davvero cosa accade a ‘sti poveri cristi che arrivano qui, le atrocità che sono costretti a subire, la mortificazione della loro stessa esistenza, lo svilimento dei sogni e delle speranze».
Enia affronta l’isola insieme al padre, medico in pensione che lo accompagna a Lampedusa. Una esperienza che li spinge a creare un nuovo rapporto che prende il posto di quello fondato sui silenzi e che permette anche di raccontare della malattia dello zio, in un intreccio di ricordi e sguardi sul presente.
Recensione di Antonio Giordano
(...) Nel suo libro – per metà narrazione autobiografica e per metà reportage – Enia dà voce a testimoni e volontari, al personale medico, agli uomini della Guardia costiera, agli amici che lo ospitano quando torna a Lampedusa. Sull’isola ha visto sbarcare centinaia di persone, è uscito in barca con i pescatori, ha conversato con i residenti, ha ascoltato i sopravvissuti (...). Enia si sofferma a lungo su chi a Lampedusa è in prima linea ed è questo uno dei pregi del libro –, su chi deve decidere, quando è in mezzo a un mare con onde alte sette metri e le donne, i bambini, gli uomini da soccorrere sono magari ricoperti di nafta e hanno mani che scivolano via, a quali persone prestare soccorso. Con una sola occhiata bisogna decidere fra le vite di tre uomini e le vite di una madre con il figlio. E così si tirano su i tre uomini e si lasciano affondare la madre e il figlio perché tre vite sono più di due. E ci parla, attraverso la loro testimonianza, del trauma dei soccorritori, che soffrono di sindrome da stress post-traumatico come se vivessero in una zona di guerra (...). Evocato più volte nel corso della narrazione, il naufragio del 3 ottobre 2013 occupa l’ultima parte del libro e segna un punto di non ritorno (...). Enia narra frammenti di storie, quelle degli africani che cercano di ricongiungersi con le loro famiglie che vivono nel Nord Europa. Alle testimonianze dirette Enia mescola la sua vicenda personale, in particolare il rapporto con il padre e con l’amato zio Beppe, gravemente ammalato, e sia nelle pagine del suo racconto sia nelle pagine del reportage mostra di avere un dono prezioso, quello di saper ascoltare. Ci fa vedere con pudore come il saper ascoltare porti l’altro a parlare, anche se non ci è abituato, perché “parlare è un’attività da femmina”. In Sicilia i deboli parlano, i veri maschi tacciono: “La consegna del silenzio, soglia di quella rocca quasi inscalfibile che è l’omertà, è una conditio sine qua non per integrarsi”. E il modo in cui il dramma di Lampedusa viene inserito nel contesto culturale siciliano è un altro dei pregi di questo libro necessario. C’è poi un viaggio che non può essere raccontato e che aleggia tra le pagine, quello nel deserto che bisogna attraversare per arrivare al mare. La storia di chi migra è a tutt’oggi il tassello mancante di questo mosaico, ci ricorda Enia. Nel titolo stesso del libro è racchiuso il fallimento della parola nel raccontare il tempo presente. “Possiamo nominare la frontiera, il momento dell’incontro, mostrare i corpi dei vivi e dei morti nei documentari”, ma la storia della migrazione potrà raccontarla solo chi l’ha vissuta. Ci dirà itinerari e desideri, i nomi delle persone massacrate nel deserto e delle violenze nelle carceri libiche, soprattutto sulle donne, perché è “sempre peggio essere donna, dalla parte sbagliata della frontiera”.
Recensione di Franca Cavagnoli
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