La diagnosi di una malattia incurabile coincide con l'inizio di un'appendice della vita, un tratto terminale nel quale i giorni diventano davvero contati e l'orizzonte di cui siamo fatti inizia ad assumere contorni più certi e definitivi. Chi scrive questa sorta di diario-appendice – un cinquantenne di cui ignoriamo il nome, impiegato da sempre nel ramo assicurativo-bancario – ha appena ricevuto una simile diagnosi in Canada, dove risiede da sedici anni. Il parere medico, che arriva nel momento in cui volge al termine il rapporto con la moglie Annelise, spinge quest'uomo a tornare in Veneto, al suo paese d'origine, per trascorrere vicino ai genitori i mesi che gli restano. Tuttavia, in seguito alla morte ravvicinata di entrambi, si troverà invece solo, senza legami parentali, con un'improvvisa obbedienza alla scrittura e con la compagnia ondivaga di un custode cimiteriale segaligno e imprevedibile, con il quale inizierà a trascorrere buona parte delle giornate. Con riluttanza il malato segue il piano di terapie che gli consentono di condurre una vita quasi normale per alcuni mesi, di vagare e osservare, di ricordare e scrivere con continuità, persino di nuotare qualche vasca in piscina e montare su pagina i pezzi di una vita. Nel testo che prende forma, meditazioni e frammenti di passato si alternano agli incontri e agli accadimenti del presente. Che fare? Vivere o scrivere? Per il protagonista la scrittura diventa un'"interruzione della vita", prima dell'interruzione definitiva che la medicina gli ha già prospettato. Eppure, proprio scrivendo, succede qualcosa di inatteso: alcuni personaggi della narrazione, il custode e gli amici ritrovati al paesello, i conoscenti e la signora che talvolta lo raggiunge per un'iniezione, la madre e la sua morte misteriosa, quel che rimane del rapporto con Annelise e della corrispondenza di questa con il suocero, le frequentazioni amorose del passato, iniziano a convergere verso una fine, anzi, verso la fine che ogni storia sempre pretende. E questa fine sarà a sua volta un'appendice, un'appendice di un'appendice, dove resta sospeso un pensiero dubbioso su quanto abbiamo iniziato a chiamare fine-vita e che per ora pare non avere un nome migliore.
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