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DeLillo regala fotografie splendide di un’America forse sconosciuta a molti, la descrive con la stessa dolcezza di un padre e proprio come un buon padre non risparmia rimproveri. L’America criticata da DeLillo è quella che vive di edonismo e beni materiali, quella che ha azzerato la bellezza delle cose semplici per fare posto solo a denaro e potere. Da questo forte punto di vista DeLillo parte alla ricerca di un nuovo io, un viaggio a ritroso per ritornare là dove si è partiti, là dove si è lasciata una grande fetta di felicità.
Questo libro mantiene esattamente ciò che promette. E' il romanzo d'esordio di quello che negli anni successivi sarebbe diventato uno dei massimi esponenti della narrativa americana. DeLillo mette forse un po' troppa carne al fuoco e soprattutto non ha ancora asciugato la sua scrittura, cosa che gli permetterà nei lavori successivi di raggiungere la massima maturità espressiva. Le microstorie, ad esempio quella raccontata da Sullivan verso la fine del romanzo, sono un po' forzate e tolgono l'attenzione dai temi principali del libro. Detto questo, la qualità della scrittura di Delillo è elevatissima. L'autore affronta temi impegnativi con grande maestria: la critica della società americana, la ricerca della libertà, i continui riferimenti al tema paura della morte che sarà poi ripresa in maniera superlativa in "Rumore Bianco". Leggendo la trama ci si potrebbe aspettare un libro "on the road". Ma Americana è qualcosa in meno di un libro "on the road" ma sopratutto è qualcosa in più: un viaggio all'interno del proprio io. Consigliato sopratutto a chi ha intenzione di conoscere meglio questo autore prima di leggere o dopo aver letto i suoi lavori più importanti.
Questo è un romanzo fortemente "derridiano", che pratica il procedimento della disseminazione in modi molto simili a quelli scelti da Wim Wenders per «Lisbon Story», e infatti con analoghi limiti. Può essere considerata la storia di un uomo che desidera fortemente perdersi in un mondo diverso dal suo ma non ci riesce mai del tutto. La trama viene sviluppata in modo accettabile, specie se si considera che «Americana» rappresenta pur sempre l'esordio di DeLillo, ma il lettore fatica a sentirsi coinvolto realmente nel "cupio dissolvi" del protagonista, come invece accade in molte opere successive di questo gigante della letteratura statunitense.
Recensioni
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"Il grande sogno non faceva concessioni alla verità dietro i simboli, alle note fra le righe, alla presenza di qualcosa di oscuro (e per certi versi ridicolo) sul bordo dello specchio della consapevolezza di qualcuno."
È il romanzo d'esordio di Don DeLillo, uscito nel 1971 negli Stati Uniti, finalmente tradotto e pubblicato anche in Italia. Già questa prima prova lo aveva segnalato come autore di grande interesse, espressione di quell'America amara di una generazione di intellettuali, che in letteratura, nel cinema, nell'arte sono la coscienza critica della società dei consumi.
Il mondo rappresentato (e da cui il protagonista fugge) è quello dell'immagine, dei media, dell'apparenza. Una New York frivola e mondana, dominata dalla noia e dal vuoto, è quella che viene splendidamente rappresentata nei capitoli iniziali. L'eleganza e la bellezza simboli di un potere che in realtà si dimostra brutale e primitivo nella sua spietatezza. L'arrivismo di alcuni, la condanna pregiudiziale ai danni di altri, la superficialità nel giudizio che diventa crudele e impietosa. Il sesso e i sentimenti come gioco e strumento per combattere la monotonia. Donne e uomini che parlano, parlano, ma non rompono la finzione dei rapporti. Protagonista è David Bell, poco più che un ragazzo, ma già pienamente inserito nei meccanismi della società newyorchese. Manager di una grande rete televisiva, considera la propria bellezza una forza e lo specchio che gliela ripropone una specie di terapia psicologica. Il pensiero positivo, oggi così di moda in Italia (ahimè quello che avveniva trent'anni prima negli Usa è ora entrato nel costume nostrano) indica appunto nell'autoincoraggiamento davanti allo specchio una forma di terapia per giungere a una maggiore autostima. Ma è troppo evidente l'inutilità, il vuoto sotteso a tutti i rapporti. Troppo angosciosa la coscienza della finzione della comunicazione televisiva che, dichiarando di rappresentare la realtà, ne propone invece solo l'aspetto più funzionale, fa da cassa di risonanza dei miti e dei simboli della società consumistica. Così l'unica via d'uscita è la fuga, l'andarsene... Ma i tempi sono cambiati e non è più un viaggio alla Faulkner quello proposto, anche se è pur sempre un cammino alla ricerca di una identità: Dave riprende con una cinepresa, attraversando gli Usa con un vecchio camper, la gente, le situazioni, le contraddizioni, in una parola la realtà, quella che la televisione ignora o che mimetizza. Si srotolano così nella narrazione storie e personaggi (un'ampia sezione del libro ripercorre in un lungo flash back anche l'infanzia e l'adolescenza del protagonista) della provincia americana e dei suoi miti. Molto di tutto ciò ricorda Nashville di Altman e i racconti minimalisti di Carver, e soprattutto preannuncia le successive opere dell'autore e i loro temi.
A cura di Wuz.it
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