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Anno edizione: 2020
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«In un tempo di smarrimento come quello che viviamo la poesia offre qualcosa che va oltre le vite di ciascuno, sa trasportarci in un luogo che sta più in alto della quotidianità. Compie questo strano e meraviglioso miracolo per cui da un punto molto personale sa portarci a sentimenti condivisi e universali.»
«Addio diventa una marcia verso il congedo definitivo. Perché la vita messa in versi da Nooteboom è ormai un giardino d'inverno senza prospettive, se non la scrittura di un capitolo finale» - Robinson
«È un gran libro, questo Addio. Poesia al tempo del virus. Metricamente così compatto, con tutti i componimenti che constano di tre quartine e di un'ultima strofa di un solo verso, breve, che spesso contiene parola-chiave. Alcuni testi sono visionari, vi compaiono fantasmi, spettri, giardini in cui "la durata non ha voce, il tempo non ha comando", persone in viaggio in cerca di uno scomparto che non c'è, mentre viene annunciato "prossima fermata l'armageddon"» - Giuseppe Conte, la Lettura
Un uomo in un giardino d'inverno: un fico spoglio, le oche del vicino, i sassi di un muro millenario, i cactus dagli strani nomi musicali con cui tesse da sempre un dialogo di sguardi, una nuvola grigio piombo che incombe come una minaccia, e il sorgere di una domanda: «la fine della fine, cosa poteva essere?» È dalla domanda sulla fine che ha inizio questo Addio, trentatré brevi poesie – un costante ritmo di tre quartine chiuse da un solitario verso finale come un accordo sospeso – quasi a evocare i canti di un'umana commedia che costantemente si ripete, un cammino nelle selve oscure dell'esistenza verso un inevitabile distacco. I ricordi indelebili della guerra – soldati in ritirata, il padre in smoking sul lungomare, la madre accanto a quel futuro morto – si mescolano a creature spettrali che sembrano uscite da sogni malvagi e a persone reali amate e perdute: «l'amico morto senza poter più parlare» e l'altro «che sull'ultimo letto / tracciava con le mani un cerchio, / e voleva dire viaggio». Le immagini spaziano dai bassifondi dell'evoluzione alle immensità del cosmo: «Che rumore fa la Terra / nella casa dello spazio?» La poesia nasce dal silenzio, e al silenzio aspira tornare. Come nella Sinfonia degli addii di Haydn, i suoni uno a uno si spengono, gli orchestrali se ne vanno. «Ho percorso la strada / più lunga, la strada senza un arrivo», scrive Nooteboom. Gli altri che camminavano con lui, amici, fratelli, amanti, sono scomparsi, se ne va l'airone solitario che seguiva la traccia «di ghiaia, di sabbia e / conchiglie in frantumi» che è quanto resta della sua vita, il desiderio lo abbandona, non sente più il suono dei suoi passi: nella grandissima quiete di quel sovrumano silenzio gli è dolce il naufragare.
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Cerchiamo di scansarla o schivarla con ogni possibile premura, ma è un'impresa da poveri figuranti. Sull'instabile scacchiera dei giorni è la parola più prossima ad ogni misura umana, slittando di continuo fra gli attimi con fredda impassibilità. Quello che si può fare è fuggirne l'attesa dalle pareti del'idea e colmare - per come è possibile - la cesta dell'esperienza, quest'invito quaggiù a sospingere il proprio carro portandosi a bordo, e non senza fortuna, quel tanto che può offrirci respiro, lascito, compimento. Il capolinea arriverà comunque, per alcuni barbaramente presto, tagliola aguzza a recidere la corsa, per altri alla fermata sensata, nel punto in cui l'attracco conosce la sua ultima tappa. Si scivola comunque, che si sia lieti sulla più alta delle logge o che ci si dibatta nella più densa palude. "Quanti enigmi si possono sopportare?/L'amico morto senza poter più parlare,/l'altro amico che sull'ultimo letto/tracciava con le mani un cerchio,/e voleva dire viaggio./Era un addio,/e io l'ho compreso,/dovevo viaggiare ancora e più lontano,/cerchi sul mondo fino a tornare a lui,/o lui da me, una promessa vana". Dunque passeggeri, ospiti, viandanti sulle mappe del caso, amanti di un giorno, cenere fedele e ricordata, ammanco o ricchezza, sguardi che ondeggiano fra il lungo e l'intravisto, simili a pause di gioia o ad un periodo riuscito nel carteggio fra l'uomo e la fine, perché anche la morte merita si sentire addosso cicatrici enormi. "Niente è qui gratis,/raccogli il morire in tutte le sue forme,/il dolore, l'urlo, il malefico abbraccio,/il bacio del tradimento calcolato./La vita un cantico dei cantici?/Certo, ma al di sotto quest'altra verità,/della notte e della nebbia,/la prova del nove che dura,/fino alla fine". Ma la vera poesia non bara e non disperde, e fissa ogni resto dell'intero sull'umile accartocciato foglio chiamato esperienza. La poesia dice l'esattezza del mancato, è l'affronto più grande agli inutili pugnali dell'addio.
La delicatezza e la profondità delle poesie di Nooteboom lasciano una traccia indelebile nel cuore di chi le legge. La piccola raccolta poetica, breve ma intensa, è impreziosita dalla bellezza che caratterizza le edizioni Iperborea. È proprio grazie alla casa editrice che ho scoperto questo grande autore, che merita certamente di essere approfondito.
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