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Mi ha provocato solo: Confusione Violenza Disturbo Irritantazione, linguaggio privo di rispetto Sentimento di violazione Applica un pensiero totalmente maschilista, di "donna come oggetto" fine a se stesso, lancia messaggi completamente sbagliati che provocano un dolore indescrivibile a chi è consapevole del mondo, ed educa in maniera sbagliata chi ancora non lo è Dolore. La trama di base avrebbe potuto portare anche ad un bel romanzo, ma non sicuramente sviluppata in questo modo a livello di scrittura e di linguaggio. Sconsiglio vivamente la lettura
Quanto mi piace come scrive quest'uomo. Il libro è meraviglioso, di un'intensità avvolgente, e i personaggi rimangono dentro. Sul Pocoporno mi sono ribaltato!
Leggo commenti totalmente entusiasti oppure totalmente distruttivi...secondo me la verità sta nel mezzo. Benni ha scritto decisamente di meglio, ma non butterei solo fango su questo libro. L'idea di partenza non era male ma i protagonisti non sono approfonditi ed il risultato è mediocre. Si sorride in alcuni punti, ma i pezzi erotici/sessuali sono di troppo, irritano quasi. Rimane impressa la figura di Achille e le riflessioni su una malattia persistente e invadente, che toglie la speranza di una vita normale e di poterne assaporare i piccoli e grandi piaceri. p.s. ho letto tutte le recensioni e non capisco proprio la necessità di insultare...
Recensioni
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Il mito, sia pure assimilato nel totale ribaltamento di sé. Ci sono diversi buoni motivi (tutti però, conviene precisare, ininfluenti sulla formulazione di un giudizio critico) per invitare alla lettura dell'ultimo libro scaturito dalla prolifica vena di Stefano Benni. Particolarmente degni di nota ci sembrano i motivi legati all'importanza che può rivestire proprio il mito, un qualunque mito, agli occhi di una determinata civiltà in un determinato momento della sua storia.
1. Il mito è un punto privilegiato d'osservazione sulla realtà e un luogo ideale di schieramento storico e di militanza ideologica. L'autore sa eleggere questo luogo a suo personale campo di battaglia come pochi, sparando a zero contro i mali e i vizi della società e contro le nefandezze della politica e usando, come al suo solito, l'arma della comicità d'invettiva, crassa, grottesca e a tratti sguaiata, o quella, sottilissima e assai più acuminata, dell'umorismo. Perché, come insegna Pirandello, la comicità si lascia spesso decifrare attraverso un epidermico avvertimento del contrario, laddove l'umorismo insegue la verità indossando i panni, ben più impegnativi, del sentimento del contrario: nell'uno come nell'altro caso, a ogni modo, a sovrintendere all'organizzazione di un discorso che accenna un sorriso o sghignazza beatamente del mondo è sempre quel senso del contrario (non importa se avvertimento o sentimento) di cui Benni è in grado di inondare la sua pagina ben al di là delle condizioni di prammatica stabilite dal genere.
2. Il mito, estrapolato dal contesto storico-culturale nel quale trova originariamente espressione, è in condizione di rispondere, in modi di volta in volta diversi, alle esigenze degli uomini di ogni tempo e, dunque, anche alle esigenze dei contemporanei. I quali, leggendo Achille piè veloce, ne ricaveranno la netta sensazione che i mostri reali di oggi non sono i ragazzi deformi, psichicamente turbati e a tratti crudeli come il povero Achille, costretto su una sedia a rotelle e in grado di comunicare solo attraverso la tastiera di un computer, ma i nuovissimi mostri che al pari di Febo, il fratello bello, pulito e cattivo di Achille, tentano un sorpasso in terza fila, vengono ostacolati da chi, nel senso opposto di marcia, ha avuto la medesima idea criminale, guardano il dirimpettaio, prontamente ricambiati, con odio primordiale.
3. Il mito assolve la fondamentale funzione di invitare una civiltà o una nazione a riflettere continuamente sulle proprie origini, a non dimenticare il proprio passato, lontano o vicino che esso sia: soltanto una civiltà o una nazione che siano in condizione di ricordare, infatti, possono realmente sperare di progredire. Il mito è pertanto preziosa occasione di incontro non soltanto con l'immagine universale ed esemplare del genere umano e dei suoi compiti, della sua dignità, del suo valore, ma anche con l'incarnazione di quella stessa immagine all'interno della particolare storia materiale e culturale alla quale ognuno di noi concretamente appartiene. Anche la nostra nazione, sembra suggerire Benni, è bene che torni a ricordare quel che è stata perché si accorga che le parole crude, rabbiose, ingiuriose pronunciate dai personaggi "resistenti" del libro sono, in realtà, parole "pure" e incolpevoli, dettate da una illuminata eresia decisa a combattere la perversa oscurità che ci avvolge: sicché le vite di merda, il puzzo di feci e medicine che il mondo "normale" copre coi profumi, il cazzo di paese che siamo diventati, i cristi di legno a cui la gente s'inchina scavalcando i cristi inchiodati a una sedia o a un letto non ci suonano realmente come parole scandalose o mostruose; semmai, a essere scandaloso e mostruoso, è il mondo; a essere scandalosa e mostruosa è questa nostra provincia dell'impero malavitosa e corrotta, stretta nella morsa della inaudita crudeltà dell'effimero indotto dal consumismo, stordita dallo schizoide, squalesco, inarrestabile chiacchiericcio tracimante da un mezzo televisivo che, tra uno spot e l'altro, invita pelosamente a partecipare alle opere di bene ("Questo paese trabocca di parole virtuose, la televisione le ripete cento volte al giorno, non c'è programma che non sponsorizzi qualche buona causa. Eppure è diventato ogni giorno più razzista e insensibile. O siete sordi, o quelle parole sono false").
4. Il mito può essere sfruttato come un formidabile strumento per una piena acquisizione della conoscenza di sé e per una profonda maturazione delle proprie scelte ed esperienze. Può allora ben essere di utilità, se non alla presente generazione, alle generazioni future, perché arrivino a possedere una anche soltanto labile coscienza della direzione da intraprendere, perché non crescano come quei bambini innaturalmente adulti che avviene sempre più spesso di veder raffigurati nelle immagini pubblicitarie o come quel bambino orrendamente adulto che, mimetizzato alla tappezzeria dell'auto del genitore, suona il clacson urlando parole impossibili, queste sì realmente scandalose e mostruose ("Non rovinare la macchina di mio babbo, troia!").
5. Il mito legittima pienamente l'aspirazione dell'uomo a rappresentarsi come l'assoluto protagonista del suo destino e come l'interprete di un mondo governato a un tempo dalla necessità della legge e dalla manifestazione della libera volontà. Purché la legge non sia tiranna e la libera volontà non autorizzi all'imitazione dei comportamenti razzisti e prevaricatori di Febo e delle intemperanze verbali, anche queste, ancora una volta, realmente scandalose e mostruose, che ne sottolineano continuamente la realizzazione ("Ti chiamo dopo, frocio. Cazzo vuoi, marocchino non te l'ho chiesto io di lavarmi il vetro. Stai a destra, scema, con quel motorino di merda").
Ma il mito è anche il luogo simbolico d'incontro con una cultura e una mentalità che riconoscono nella diversità, nella discontinuità, nella contaminazione le orme lasciate da un'umanità in costante ricerca lungo il suo plurisecolare cammino: e un paese "che ha venduto la sua varietà, la sua meravigliosa bastardaggine, il suo sangue di mille colori, in cambio del privilegio di sedere coi più forti, che forti non sono, sono soltanto più armati e disperati", quelle orme le ha ormai irrimediabilmente cancellate. Restano i sussulti di coscienza di quei pochi fortunati che riescono ancora a intravederle e a seguirle. Magari alla maniera di Stefano Benni, che ha per questo chiesto aiuto al mito e ai suoi leggendari personaggi (i soli capaci di ridere della mostruosità del mondo: perché "ridere dei piccoli dolori è sollievo dei deboli. Ridere sull'abisso è proprio degli eroi") e, naturalmente, al suo stile scoppiettante, che mai ci è apparso così piacevole scoprire diverso, discontinuo, contaminato. Il quale Benni, consapevole che le esortazioni all'uso di un italiano più regolato, più serioso, più pulito suonano di questi tempi politicamente sospette ("Vigili di merda, scrocconi, parassiti", grida a un certo punto il solito Febo, furibondo per il traffico, "c'è ancora tanto da ripulire in questo paese, e il cavalier Forco lo farà"), immaginerà forse volentieri di "resistere" non soltanto in quello che dice ma anche nel modo in cui lo dice (che è poi il modo in cui lo ha sempre detto). Contro ogni supposta ipotesi di ipocrita pulizia linguistica. Nella difesa della "sporcizia" accumulata proprio grazie alla continua tensione espressivistica delle sue scelte stilistiche.
La creatività visionaria e l'abilità narrativa di Stefano Benni si scatenano in un nuovo romanzo che diverte, stupisce e commuove, trascinandoci in una dimensione allo stesso tempo fantastica e reale, animata da personaggi pieni di carattere e sentimento. La storia ha il suo fulcro nella strana amicizia tra due originali protagonisti, che con i loro nomi di ascendenza mitologica evocano un'atmosfera senza tempo e suggestioni epiche. Achille e Ulisse sono due eroi metropolitani, prigionieri di esistenze perdute, costretti a vivere, sull'orlo del fallimento e della segregazione, in un mondo allo sfascio e privo di riferimenti morali. La loro grande umanità avrà la possibilità di manifestarsi con vigore inaspettato solamente grazie a un legame straordinario, più forte di ogni convenzione sociale e di ogni paura.
Il fato, sotto le spoglie di una lettera misteriosa, sconvolge la pacata e inerte vita di Ulisse, scrittore in crisi che si guadagna da vivere lavorando per una piccola casa editrice, di proprietà dell'inetto Vulcano. La sua giornata, scandita dalle insistenti richieste di pubblicazione da parte dei più improbabili aspiranti scrittori e dalla lettura dei loro noiosissimi «scrittodattili», è illuminata solo dall'amore per la solare Pilar, giovane bellezza latina, nonché novella Penelope, unica ancora di salvataggio in un mare di forte irrequietezza sentimentale, minacciato dalle arti seduttive femminili, in primo luogo quelle di Circe, segretaria tentatrice. Il messaggio anonimo è opera di Achille, un ragazzo malato e deforme che, per volere della madre iperprotettiva e del fratello fortunato, l'arrivista Febo, vive recluso in una stanza della sua vecchia casa, inchiodato davanti al computer che usa per comunicare. Achille chiede un incontro. Ulisse accetta e scopre un giovane dall'intelligenza acuta, che, nonostante il forzato isolamento, ha saputo sviluppare una natura colta, vitale, curiosa e impudica. Tra i due si instaura presto un'assoluta complicità alimentata dei racconti di Ulisse, che Achille ascolta avidamente e poi trascrive, o meglio trasfigura letterariamente, dando vita a una storia nella storia. I due, tra fiera serietà e cameratesco umorismo, si ritrovano a combattere insieme una grande battaglia, intrisa di interrogativi, gesta e intenzioni, fino alla conclusione amara ma illuminante e liberatoria.
Ancora una volta Stefano Benni stupisce per la sua capacità di raccontare i grandi temi della vita con uno stile lieve ed ironico, ma a tratti anche crudo e diretto, che spinge a riflettere divertendo. E per la sua capacità di trasfigurare la realtà in un universo fantastico, rendendola ancora più vera.
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