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Un romanzo d’amore, di morte e di lotta, che vola sulle ali della trascinante prosa di Jérôme Ferrari.
Ferrari intreccia percorsi di vita e storie avvincenti in una lingua ammaliante e dai tanti registri: ironico, solenne, tragico, commovente.
Antonia, nata in un piccolo paese dell’entroterra còrso, cresce in un contesto di forti tradizioni e solidi legami familiari. La sua passione è la fotografia, passione che ha sviluppato fin da quando a quattordici anni lo zio prete, personaggio chiave della sua vita, le ha regalato la sua prima macchina fotografica. Comincia col fotografare la famiglia, i paesaggi, le amiche e gli amici al bar, in un paese in cui i ruoli maschile e femminile sono ben definiti, per certi aspetti addirittura a compartimenti stagni. E in effetti non c’è posto per le donne tra i militanti indipendentisti con passamontagna e fucile in cui, una volta diventati grandi, si sono trasformati gli amici d’infanzia. Antonia continua a fotografare, si trasferisce in città, viene assunta da un quotidiano locale per riprendere sagre paesane e gare di bocce, ma il suo sogno è diventare reporter di guerra: una guerra vera, però, e non l’insulso conflitto che si combatte in Corsica tra l’amministrazione francese e le varie fazioni di indipendentisti, peraltro in lotta fra loro, anche se i morti non mancano. Ci riuscirà? La chiave di questo libro è nel titolo, A sua immagine, perché è l’immagine di Dio quella che lo zio prete è costretto a vedere suo malgrado negli uomini che lo circondando, ma è anche l’immagine che Antonia fissa nelle sue foto ponendosi l’eterna domanda del fotografo: fissare un’immagine vuol dire renderla eterna o confinarla per sempre in una rigidità mortale? «Se fosse esistita una fotografia della morte di Cristo» pensa a un certo punto il prete, «non avrebbe mostrato altro che un cadavere straziato consegnato alla morte eterna».Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non è un romanzo, è un assieme (sfilacciato) di racconti che spaziano per gran parte del novecento. Antonia non è la protagonista: lei muore subito nelle prime pagine e il suo funerale abbraccia i primi tre capitoli, anzi è ripreso alla fine di ognuno dei dodici capitoli fino all’Ite missa est, quando la bara è finalmente portata al cimitero. Il protagonista è la guerra, anzi le piccole e grandi guerre che hanno insanguinato il secolo scorso. O forse il protagonista è la fotografia stessa. Antonia viene resuscitata qua e là nei vari racconti per compiere reportages in alcuni conflitti, anche quelli assurdi tra i componenti irredentisti della Corsica, che si ammazzano tra loro. Il tomo è strutturato come una messa per defunti, iniziando con Requiem Aeternam, poi con il Kyrie, Epistola, Vangelo, Offertorio fino al Libera Me. Ad ogni capitolo, l’officiante sparge sull’altare foto di varie guerre (a cominciare dal 1911, guerra di Libia (vergogna nostra per gli stermini perpetrati) e ne illustra i massacri chiedendo perdono a Dio. Peccato che Ferrari non si preoccupi di pubblicare queste foto nel testo, per cui il lettore naviga con la sua immaginazione. Non scrive neppure il nome degli autori, ma solo le iniziali. Il problema è che ci vengono sciorinati piccoli conflitti su cui comunque il lettore sa già tutto perché sono stati ampiamente descritti sui giornali, in TV, in film. A p. 106 menziona un Curzio M. che, dalla descrizione dell’insalatiera piena di occhi strappati ai nemici dagli Ustascia (1943), non può essere che Malaparte. Perbacco, dovevo pensaci subito: avrei dovuto tornare a leggere La Pelle, strabiliante romanzo che senza Kyrie o Christe Eleison, ci racconta queste storture in modo superlativo. Ferrari è scrittore di gran classe, certo, ma quando si ha ben poco di nuovo da raccontare, forse era meglio soprassedere e comunque pubblicare con l’Editrice Vaticana (magari le Edizioni Paoline?).
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