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Preso perchè ambientato a Fabbrico dove ho amici, mi aspettavo forse più un racconto della vita di paese, mentre invece questi capitoli potrebbero essere ambientati poi ovunque, senza nemmeno richiami alla Bassa o, comunque, a quel tipo di luogo. A volte sembra un po' troppo esercizio di stile, con personaggi che non vengono nemmeno descritti tanto profondamente, come se lo scrittore sì li conoscesse, ma non ritenesse necessario presentarli in toto. Sembra più un vorrei-ma-non-so-ancora-come-si-fa, e l'impressione alla fine di ogni singola lettura è quella di aver già letto il tutto, anche se letto non lo è stato. Può piacere, ma resta un certo senso di incompletezza o, forse, di eccesso di fiducia nei propri mezzi.
La lettura di questo libro mi ha piacevolmente coinvolta, capitolo dopo capitolo si familiarizza coi personaggi di questo piccolo paese e sembra di farne parte. Geniale la scaletta del libro. Unico neo la scrittura: i discorsi diretti che si alternano alla narrazione creano un tutt'uno sacrificando le pause.. secondo me ritrmo troppo incalzante. Tuttavia mi è piaciuto molto
Un libro bellissimo; un romanzo fatto di piccoli racconti che tratteggiano personaggi un po’ alla Carver, ma immersi nella campagna emiliana in un paesino fitto di storia resistenziale e ferite antiche. Un libro che ci insegna che non esiste storia per i giovani senza il rispetto e la cura delle generazioni passate. In questo libro c’è amore, storia, molto dolore e rinascita. Consigliatissimo
Recensioni
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L’amico che, tempo fa, mi ha consigliato la lettura del primo romanzo di Roberto Camurri, mi ha anche detto però che l’Emilia in salsa statunitense l’aveva già “inventata” Ligabue. Luciano. Soprassediamo. Camurri ha scritto un romanzo di racconti (che potrebbero autonomamente vivere di vita propria) su temi eterni come l’amore e l’amicizia, innestandoli su un ambiente provinciale soffocante e stimolante; una storia con una specie di struttura circolare, che inizia e finisce al mare, realmente e simbolicamente, e potrebbe raccontare molti di noi, anche se non siamo nati a Fabbrico, o se non ci passeremo mai.
Di contemporanea voglia di andar via e di restare si nutre il libro del trentaseienne Camurri A misura d’uomo (168 pagine, 16 euro), titolo delle edizioni NN. Soffoca eppure emoziona emoziona la terra d’origine, che scorre nelle vene di Davide, Valerio e Anela (di lei sono innamorati i due amici). In una storia così si entra subito dentro. Gioca un ruolo importante la struttura narrativa, ma anche le tante virgole presenti nel testo e una quasi totale assenza di dialoghi, o il fatto che molti siano ben mimetizzati nello scorrere delle frasi. Scelte precise, verrebbe da dire, che, con certe frasi ruvide e dirette, viscerali, contribuiscono a illuminare i misteri delle relazioni umane, dettagli di cose, persone e gesti, perfino un certo senso di comunità, incarnato dal bar della Bice, che non nega una sambuca all’occorrenza, e dai tanti personaggi (una coppia alla deriva, un ex partigiano, una donna alle prese con una lunga malattia, un cane, le ombre della follia e dell’alcolismo) che minori non sono, pur fuori dal cerchio magico di Davide, Valerio e Anela.
Non tutto è esplicitato, c’è tanto di non detto, perfino del silenzio, in questo esordio. Ed è una forza. A chi mi ha condotto alla lettura del romanzo di Camurri, non solo a lui in realtà, mi vien da dire che il tema cruciale di A misura d’uomo – più che il vuoto o la noia, o la normalità di un’esistenza in provincia – potrebbe essere la ferocia della vita, anche sotto forma di piccoli insignificanti gesti, che irrompe nella quotidianità, che complica i desideri più semplici, un evento che di volta in volta dissesta gli equilibri di giorni e stagioni sempre uguali, o forse solo apparentemente sempre uguali. E poi la malinconia. Non c’è sequenza cronologica nei racconti, ma alla fine non crea scompensi né confusione in chi legge, non si avverte. Si avverte solo un sapore dolceamaro sulla lingua, che per un po’ non va via, e qualche groppo in gola.
Recensione di Giovanni Leti
Se io scrivessi una frase del tipo “Valerio gli aveva preso le mani, lo aveva costretto a guardarlo, torniamo indietro, gli aveva detto, Giuseppe aveva alzato il mento verso di lui, piangeva“.
Voi potreste commentare: “eh beh?”
Eppure quella frase lì, che arriva a pagina 86, all’interno del capitolo/racconto Neve è dirompente.
Innanzitutto state conoscendo di più Valerio, uno dei protagonisti. E Giuseppe. Che ha fatto la guerra. E ama da sempre una donna, da lontano. E avete appena lasciato la Bice al bar, che ha aperto nonostante la nevicata colossale della notte. Ed è il concentrato del racconto: la cura gentile e rispettosa che Valerio presta a Giuseppe, partigiano sopravvissuto alla guerra, e che lo costringe a lasciare il letto e la donna che ami per andare a vincere l’ostinazione di un ottantenne di uscire di casa e seguire la propria routine in una mattinata che con una nevicata che le cronache ricorderanno.
La frase però vi dà l’idea della scrittura di questo esordiente, Roberto Camurri, scorrevole, ammaliante. Ah, niente virgolette per i dialoghi. Una scrittura moderna, innovativa e molto comprensibile. Va dritta al punto. Niente fronzoli, ma non è secca. Non fa male. Anzi. È semplice, ma è un semplice bello e confortevole. Come un vecchio maglione liso.
Ogni capitolo è un racconto. I racconti intrecciano vite e personaggi. Tutti legati in qualche modo tra loro, il nucleo è rappresentato dalle vite di tre amici: Davide, Anela e Valerio. Alcuni personaggi tornano (magari a distanza di racconti, il che non rende la lettura super fluida).
Si parla di vita, amicizia, amore, il valore della tradizione, i rapporti di vicinato, la gioia delle piccole cose e della routine. Soprattutto è un ritratto della provincia italiana a misura d’uomo: il bar di paese, il compagno di scuola, la commemorazione dei caduti che sono stati vicini di casa del padre, della zia o della cugina, i gesti quotidiani.
Per chi è questo libro? Per chi, come me, è cresciuto in provincia e sorride al ricordo del padre che giocava a carte con gli amici al bar. Per chi, come dice NN editore “adora cenare a base di salame, formaggio, pane e Lambrusco“. Per chi apprezza la tradizione, ma non la naftalina. Per chi si affeziona ai personaggi e preferisci i gruppi ai solisti.
Unica critica: questo romanzo non mi ha trasferito molte emozioni. L’ho letto con interesse perché i racconti sono incredibilmente narrati. Ma mi è rimasto meno di quanto mi aspettassi a livello emotivo.
Il paragone con Haruf (che ho trovato in alcune recensioni) non ci sta. Ma leggerò senza dubbio il prossimo lavoro di questo esordiente. L’inizio è molto promettente. Perché al di là delle imperfezioni, il libro merita di essere letto.
Non mi credete? Leggete il libro. E poi venite a dimostrarmi il contrario.
Recensione di Patrizia Carrozza
A misura d’uomo è un romanzo in racconti dell’esordiente Roberto Camurri e fotografa le vite scombinate di quattro amici Davide, Valerio, Mario e Luigi che si muovono nel piccolo paese di provincia Fabbrico.
Si racconta della storia d’amore di Davide e Anela, della morte di Davide e del bisogno generale di riscatto. La decisione di Valerio, suo migliore amico, sarà quella di restare e ricostruire la sua vita proprio con Anela; si prenderà cura degli altri, soprattutto di Giuseppe, solitario e orgoglioso reduce di guerra, assiduo frequentatore del bar della Bice, il caldo luogo di ritrovo della città.
Tra affetti, tradimenti e resilienze, Camurri ci porta alla scoperta di personaggi profondamente umani fino a una conclusione che si apre come una nuova possibilità. La storia è tessuta con un linguaggio sanguigno, descrittivo e anaforico a tal punto che le ripetizioni anziché stancare, cullano il lettore nel racconto della quotidianità.
Incisiva ed emozionante, a tratti ancora acerba, quest’opera prima sa guardare alle cose con stoicismo, dalla prospettiva della provincia e dei provinciali, in un paese di noia e di grazia, popolato da gente che ha deciso di rimanere costi quel che costi perché a volte ci riconosciamo più in quelli che ci provano che in quelli che ci riescono, come direbbe Giuseppe.
Recensione di Silvana Farina
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