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Anno edizione: 2019
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Vincitore Premio Campiello 2020. Nella dozzina del Premio Strega 2020. Finalista Premio Napoli 2020, sezione Narrativa
Attraverso il miracolo di una lingua imprevedibile, storta e circolare, a metà tra tradizione e funambolismo, Remo Rapino ha scritto un romanzo che diverte e commuove, e pulsa in ogni rigo di una fragile ma ostinata umanità, quella che soltanto un matto come Liborio, vissuto ai margini, tra tanti sogni andati al macero e parole perdute, poteva conservare.
Liborio Bonfiglio è una "cocciamatte", il pazzo che tutti scherniscono e che si aggira strambo e irregolare sui lastroni di basalto di un paese che non viene mai nominato. Eppure nella sua voce "sgarbugliata" il Novecento torna a sfilare davanti ai nostri occhi con il ritmo travolgente e festoso di una processione con banda musicale al seguito. Perché tutto in Liborio si fa racconto, parola, capriola e ricordo: la scuola, l'apprendistato in una barberia, le case chiuse, la guerra e la Resistenza, il lavoro in fabbrica, il sindacato, il manicomio, la solitudine della vecchiaia. A popolare la sua memoria, una galleria di personaggi indimenticabili: il maestro Romeo Cianfarra, donn'Assunta la maitressa, l'amore di gioventù Teresa Giordani, gli amici operai della Ducati, il dottore Alvise Mattolini, Teté e la Sordicchia... Dal 1926, anno in cui viene al mondo, al 2010, anno in cui si appresta a uscire di scena, Liborio celebrerà, in una cronaca esilarante e malinconica di fallimenti e rivincite, il carnevale di questo secolo, i suoi segni neri, ma anche tutta la sua follia e il suo coraggio.
Proposto per il Premio Strega 2020 da Maria Ida Gaeta: «È un libro non collocabile facilmente né per generazione né per lingua in un contesto già noto della narrativa italiana. È un libro che sorprende per la scatenata vitalità e autenticità della lingua. È un libro che poggia sapientemente su una grande tradizione ed è popolare. Sta dalla parte dei matti, degli idioti, fuori dai margini, dove spesso sta la letteratura o comunque dove la letteratura sa stare. Un libro in cui un "cocciamatte" di paese, un uomo che non ha mai conosciuto il padre e che ha perso la madre da ragazzino, ormai anziano, solo, racconta in prima persona la sua vita e nel farlo riattraversa buona parte del Novecento. Con un linguaggio gergale e personalissimo, intriso di dialetto abruzzese, scorrono le vicende di una esistenza segnata da una infanzia e una giovinezza povere , il servizio militare in Friuli, il ritorno a casa, di nuovo la ripartenza per cercare lavoro al nord, il lavoro in fabbrica, lo sfruttamento e la scoperta della politica, il legame e la solidarietà con gli altri emarginati, la disillusione e la fine dei sogni di riscatto, il carcere e il manicomio, fino al definitivo ritorno al paese dove viene accolto come “cocciamatte” e da questa condizione si mette a scrivere, a più di ottanta anni e prima di morire. E scrive con grandissima umanità, commuovendo e divertendo i lettori. È un romanzo che ha una voce. Le vicende narrate e lo stile della scrittura sono il personaggio stesso, coincidono. Il matto Liborio con la sua vita sconquassata, con il suo parlato /scritto, con i suoi amici e i suoi nemici, con la solitudine che lo avvolge, si fa ascoltare e ci conquista.»
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'autore punta molto sullo stile di scrittura per questa sorta di autobiografia di un uomo sfortunato che attraversa la storia d'Italia dagli anni venti ai giorni nostri. Liborio, ormai anziano, decide di raccontare la sua vita attraverso uno sguardo semplice e innocente ma causa di un ritardo mentale e della poca istruzione ricevuta, la sua scrittura è sgrammaticata, dialettale e spesso ripetitiva. Credevo di riuscire a prendere più confidenza con questa scelta stilistica ma andando avanti nel racconto non è successo. A mio parere è uno stile che va bene per la durata di un capitolo all'interno di un romanzo convenzionale o al massimo per un racconto di un centinaio di pagine. Al di là dello stile di scrittura particolare, c'è una storia sicuramente commovente soprattutto nel finale. Un buon libro che merita una lettura anche solo per l'impegno messo dall'autore nella sua realizzazione e per l'affetto che alla fine si prova per il narratore e protagonista.
Mi ha dato la sensazione di racconto artefatto, non spontaneo: Liborio viene messo appositamente nei luoghi dove si svolgono gli eventi che si vogliono raccontare, eventi che poi vengono descritti in modo scontato. Il modo di usare il dialetto non aumenta l’espressività, è solo un libro scritto mezzo in dialetto.
Sembra di avere di fronte un italiano claudicante, che si appoggia in più occasioni al dialetto, con un sistema di ridondanze nel testo, che rendono faticosa la lettura. Gli eventi raccontati ripercorrono la storia del Novecento.
Recensioni
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I vincitori del concorso "Caccia allo Strega" 2020
Grazia
Chi è Remo Rapino? È uno Scrittore, con la maiuscola. Per essere uno Scrittore non basta raccontare una bella storia, tessere una trama che tenga avvinto il lettore, curioso di sapere come va a finire, né basta farlo ridere (cosa peraltro non facile) o farlo piangere e lavargli la coscienza, come fan quasi tutti. Uno Scrittore racconta, certamente, ma non si limita a ritrarre il mondo vero o di fantasia, lo Scrittore al tempo stesso ritrae e trasfigura la realtà, le conferisce un volto nuovo, una dimensione più alta, universale, metafisica, che oltrepassa il tempo e la contingenza. Tutto questo lo sanno fare in pochi, i veri Scrittori, e Rapino lo è. Il suo è un romanzo epico che narra le gesta di un eroe misero e solitario la cui avventura è attraversare la foresta più misteriosa e perigliosa di tutte: la vita. Resistendo caparbiamente ai colpi più duri, “ai segni neri” del suo destino, Bonfiglio Liborio arriva fino al traguardo degli ottant'anni, ma la sua impresa non è finita: ora sente che deve riviverla quella sua vita, in una lunga cavalcata nella memoria, per darle un senso e dominarla con la consapevolezza della parola. L'ininterrotto flusso di coscienza che costituisce il racconto di Liborio tuttavia, non è una meditazione individuale, circoscritta alle sue vicende personali: ma è una visione grandiosa, epica appunto, del secolo turbolento e doloroso nel quale si è svolta la sua esistenza segnata dal dolore, dall'ineguaglianza e dallo sfruttamento. Liborio è l'eroe invincibile della storia, l'eroe straccione che rappresenta i diseredati della terra di tutti i tempi; ma l'altro grande protagonista di questo straordinario romanzo è il linguaggio: turbinoso, caleidoscopico, sferzante, che con un registro perfetto accompagna la cavalcata interiore dell'eroe. Forse questo libro non vincerà lo Strega, ma non è detto, quel che è certo è che si è conquistato un posto nella nostra letteratura. Copertina 3 Storia 5 Stile 5
FranLem
Ho appena chiuso il libro. E già me lo figuro, davanti agli occhi, il vecchio Liborio, alla cui andatura incerta si accompagna l’incedere di un Novecento altrettanto travagliato, rabdomante in cerca di risposte, pellegrino e viandante di questo lungo viaggio scandito da una metrica della narrazione serrata in cui “la parola si torce come serpe inchiodata dalla canna”, dove il flusso d’incoscienza dei suoi pensieri denuncia l’ingiustizia del secolo e la marginalità dell’uomo, già me lo figuro percorrere claudicante la strada di ritorno verso casa, libro Cuore in mano, ripensare al padre, alla guerra, al manicomio, al suo maestro di scuola, a Teresa Giordani e agli anni del militare, affrettarsi per ritornare, “jame, jame guagliò”, aprire l’uscio di casa e poi sedersi a tavola, quella tavola imbandita per questi suoi commensali che forse non arriveranno mai, ma a cui si rivolgerà tutta notte per raccontare la sua Storia, che ci strugge e ci rattrista sì, ma ci consola e ci diverte, e che va scritta con la S maiuscola, proprio perché è questa umanità comune e quotidiana, resiliente e sospesa, a illuminarne le vie e tesserne le maglie nel tempo. Copertina: 5 Storia: 5 Stile: 5
Marco L.
Bonfiglio Liborio arrivato quasi in punto di morte ci racconta la sua pazzia "buona", un profluvio di parole, pensieri, accadimenti che salgono dalla sua anima come un muro di gomma contro la normalità "cattiva" della società umana che ha attraversato nel corso del ventesimo secolo. Puro flatus vocis contro la forza del capitalismo, del consumismo, del conformismo di una società sempre più industrializzata e spietata, pronta a schiacciare i deboli, i diversi e i poveri: i predestinati alla sconfitta ma utili alla funzione perfetta della giostra dei valori economici. Bonfiglio Liborio è consapevole dell'inutile esercizio della sua "poetica" ma vuole comunque regalarla al mondo, come testimonianza di non resa, usufruire del diritto alla parola scritta anche se sgrammaticata lo rende finalmente vivo e mordace più che nei suoi ottanta e passa anni di vita materiale vissuta e subita. Rapino nel mettere in scena questo atipico e struggente personaggio romanzesco mi ha fatto correre alla mente un parallelismo con un grande della nostra poesia: Dino Campana. Ovviamente un accostamento forse irrituale culturalmente ma a me preme la somiglianza della storia umana degli individui colti da pazzia forse non per loro volontà, la loro estrema sensibilità li fa assurgere ad angeli laici emarginati ma spesso pregni di potentissimi messaggi e di un coraggio impareggiabile nella loro disperazione. Chiudo ripensando a Bonfiglio Liborio proprio con un pensiero di Campana: "Tutto va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili..." Copertina:5 Storia:5 Stile:5
Mattia
Questo romanzo possiamo definirlo una sorta di diario o memoriale: il protagonista si chiama Liborio ed è anche il narratore di questa storia, la sua storia. Bonfiglio Liborio è nato nel 1926 e scrive della sua vita nel 2010: narra, quindi, di un arco di tempo davvero lungo. Il linguaggio che usa è un’imitazione del linguaggio orale ed è in larga misura un linguaggio inventato, fatto di dialetto, gergalismi e neologismi (molto utile in questo caso il glossario alla fine del libro). Inoltre, questo stile di scrittura (potremmo dire che Liborio “scrive come parla”) rappresenta la sua autenticità. Non è dunque un narratore ordinario: è un “cocciamatte”, quello di cui tutte le persone del paese spettegolano perché considerato un pazzo, uno strano. Il libro è particolare proprio perché descrive il punto di vista di un pazzo con la sua interpretazione originale degli eventi. Le sue considerazioni fanno sorridere il lettore ma gli permettono anche di riflettere. L’ho trovato un libro stimolante perché l’autore ci propone una prospettiva diversa sulle dinamiche politiche, sociali ed economiche del secolo scorso e ciò stimola diversi momenti di riflessione e importanti considerazioni. Grazie a Liborio ripercorriamo la storia del Novecento, con i suoi eventi sociali e politici cruciali, ma lo facciamo attraverso il suo sguardo. La sua interpretazione semplicistica genera un punto di vista alternativo sui fatti e sulle persone. In ultimo, la storia di Liborio è la storia di un uomo alla costante ricerca di un modo per sopravvivere: sin dalla nascita, infatti, la sua vita è stata un susseguirsi di sfortune ed eventi negativi (“i segni neri sono iniziati quando sono nato”). La follia è il suo modo di superare tutto ciò che gli succede: in effetti, ogni uomo che abbia davvero vissuto in quegli anni sarà diventato in qualche modo (e per forza di cose) un cocciamatte. Copertina: 5 Storia: 4 Stile: 4
Luca.B
"Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio" sembra invitare il lettore a cambiare per un attimo la solita prospettiva sul mondo, quella alla quale siamo abituati e con la quale siamo soliti leggere la realtà. Ci accoglie in un mondo capovolto, talvolta stralunato, ma che alla fine è il nostro stesso mondo, solo guardato con il filtro di occhi diversi, quelli di un uomo che troppo sbrigativamente definiamo cocciamatte. Attraverso le parole di Liborio ripercorriamo un intero secolo, vissuto ai margini, nel racconto di una vita minore, ma ugualmente straordinaria e ricca. Sembra di rivedere "Un matto" della canzone di Fabrizio De Andrè, trasposizione in note di quella Spoon River nella quale Edgar Lee Masters parla proprio dell gente comune e degli ultimi. Ma al contrario del "Matto" di De Andrè, che non riesce ad esprimere con le parole il mondo che lo circonda, Liborio è invece un torrente in piena e proprio grazie alle sue parole, ai suoi ricordi, ci aiuta a rileggere la nostra Storia con occhi nuovi, forse più puri. Copertina:4; Storia:5; Stile: 4
Dalle pagine di Rapino emerge una rappresentazione verace e quasi struggente dell’esclusione e della conseguente rassegnazione nell’isolamento, controbilanciata soltanto dalle piccole rivincite di chi si accontenta di poco per dirsi felice, almeno per un breve periodo. L’incomprensione degli altri è il seme della solitudine, ma Liborio cerca l’interazione umana fino alla fine e rifiuta di arrendersi alle avversità che continuamente lo ostacolano.
Remo Rapino, vincitore del premio Campiello 2020 con questo libro, costruisce una narrazione travolgente e capace di unire la storia di una vita marchiata di «segni neri» con il mosaico contraddittorio dell’Italia novecentesca. Liborio Bonfiglio nasce in una notte d’agosto sconvolta dalla tempesta, la prima di tante sventure riservategli dal destino. Partito da un piccolo angolo d’Abruzzo, attraversa e sviscera gli eventi del mondo e le esperienze che si porterà addosso come un fardello: prima la Seconda guerra mondiale, poi l’emigrazione al Nord, il lavoro in fabbrica, i rumori nella testa, echeggiati da una prosa martellante che non concede momenti di pausa.
Per sua stessa ammissione un «cocciamatte», Liborio si racconta in prima persona e con una schiettezza disarmante, che non nasconde nulla della sua esistenza sempre al margine: all’inizio per le sue origini rurali, in seguito per la reclusione nelle periferie della società, in un processo lento ma inarrestabile. Estraneo a tutti, ma mai abbastanza estraniato per una casa di cura, il suo punto di vista così solitario diventa un osservatorio privilegiato della realtà che lo circonda.
Francesco Salvatore
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