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Crescere per diventare cosa, per assomigliare a chi?
«Mentre ci pare di star seduti, come Giovanna, sul sedile posteriore di una scalcagnata Cinquecento che sobbalza tra la polvere delle periferie e l'aria tersa di Posillipo, in una storia che sembra assolutamente privata, Ferrante riesce a raccontare non solo il presente ma anche l’infanzia della protagonista e la giovinezza dei suoi genitori, la fine degli anni Settanta, le illusioni, le pose, i miti di quegli anni con la stessa lucidità con cui, nell'Amica Geniale, ci aveva portato negli anni del boom e poi nei decenni successivi.» – Lara Crinò, La Repubblica
«Un inizio fulminante che accende l’immaginazione, come è una costante nei libri dell’autrice» – La Stampa
«"La vita bugiarda degli adulti” è un viaggio nelle fragilità dei suoi protagonisti, nelle debolezze e nei difetti di tutti noi. Con la consapevolezza, sempre presente, che 'in quello che è successo non c’è colpa, si fa del male senza volerlo'. Comprendere tutto vuol dire perdonare tutto. E, per favore, non mettetevi in testa che la giovinezza è l'età più bella della vita. - Riccardo De Palo, Il Messaggero
«Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta. La frase fu pronunciata sottovoce, nell’appartamento che, appena sposati, i miei genitori avevano acquistato al Rione Alto, in cima a San Giacomo dei Capri. Tutto - gli spazi di Napoli, la luce blu di un febbraio gelido, quelle parole - è rimasto fermo. Io invece sono scivolata via e continuo a scivolare anche adesso, dentro queste righe che vogliono darmi una storia mentre in effetti non sono niente, niente di mio, niente che sia davvero cominciato o sia davvero arrivato a compimento: solo un garbuglio che nessuno, nemmeno chi in questo momento sta scrivendo, sa se contiene il filo giusto di un racconto o è soltanto un dolore arruffato, senza redenzione». Il bel viso della bambina Giovanna si è trasformato, sta diventando quello di una brutta malvagia adolescente. Ma le cose stanno proprio così? E in quale specchio bisogna guardare per ritrovarsi e salvarsi? La ricerca di un nuovo volto, dopo quello felice dell’infanzia, oscilla tra due Napoli consanguinee che però si temono e si detestano: la Napoli di sopra, che s’è attribuita una maschera fine, e quella di sotto, che si finge smodata, triviale. Giovanna oscilla tra alto e basso, ora precipitando ora inerpicandosi, disorientata dal fatto che, su o giù, la città pare senza risposta e senza scampo.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Dopo aver letto "L'amica geniale" e "la figlia oscura", questo volume ha soddisfatto le mie aspettative. La scrittura della Ferrante é scorrevole, cattura e tiene incollati alle pagine.
Dopo esser stata catturata dalla serie tv ho preso il libro pensando come al solito di trovarmi di fronte a una lettura coinvolgente e poter affermare il libro è più bello. Purtroppo non è stato così, scrittura lenta e poco coinvolgente
La storia risulta appassionante fino a metà libro, per poi scemare in una marea di obsoleti luoghi comuni: presunte differenze tra nord e sud Italia, famiglie borghesi e popolari, maschi dipinti come depravati sessuali. Insomma, tematiche trite e ritrite buttate lì perché fa brodo e presa sul pubblico, soprattutto quello giovanile. Chi studia appare colto e distinto, gli altri una marea di ignoranti indegni di ricoprire un valido ruolo sociale. Bisogna studiare altrimenti diventi ignorante, povero ed infelice, soprattutto se donna, rischiando di finire a fare la serva nei quartieri della Napoli Bene (se sei fortunata). La verginità meglio perderla il prima possibile e togliersi il pensiero, poco importa con chi. Questo romanzo è diseducativo, non che una storia debba forzatamente insegnare chissacché dispensando preziosi insegnamenti di vita, però io vi ho trovato poco da salvare. Lo stile di scrittura è accattivante, poiché la Ferrante sa scrivere come pochi altri e riesce con facilità a catturare l'attenzione del lettore tenendolo incollato anche quando racconta episodi banali dall'esito scontato e rendendo comunque ogni suo testo degno di lettura. I numerosi monologhi di Giannina sono accattivanti, sentiti e credibili nella loro genuinità adolescenziale, sebbene i dialoghi appaiano a volte alquanto piatti e volgari, con donne colte, compresa la protagonista stessa, che si esprimono sovente in modo grezzo ed illetterato senza una valida motivazione, sminuendo così la tanto declamata intelligenza che, stando al testo della Ferrante, dovrebbe custodire qualunque adolescente studioso, soprattutto se iscritto al ginnasio. Mi auguro che Elena Ferrante non si commercializzi oltremodo a seguito del successo ottenuto, tra l'altro meritatissimo, riprendendo piuttosto a sfornare presto nuove opere degne suo innegabile talento letterario.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Napoli. Fine inverno 1992 – fine primavera 1995. Giovanna Trada è nata il 3 giugno 1979, quando i genitori Andrea e Nella avevano lui 32 e lei 30 anni. L’esile padre è professore di storia e filosofia nel liceo più prestigioso di Napoli, intellettuale abbastanza noto in città, disponibile a molto richieste lezioni private per arrotondare il modesto stipendio; la madre insegna latino e greco in un altro liceo, corregge bozze di storie e romanzetti rosa, e talora ne scrive, per arrotondare a sua volta. Vivono nei quartieri benestanti, in cima a San Giovanni dei Capri al Rione Alto (sopra il Vomero); le hanno spiegato tutto sulla sincerità e sul sesso, leggono tantissimo, fanno spesso riunioni importanti fuori e dentro casa, sono legati ai colti benestanti coetanei Mariano e Costanza con le due figlie Angela e Ida, pensano con cura se devono dire qualcosa, cercando di mantenere sempre gentilezza e proprietà di linguaggio.
Una sera di febbraio 1992, Giovanna, che è in terza media e non va molto bene a scuola pur studiando molto, ascolta per caso una frase che nella loro camera il padre (due anni prima di andarsene poi di casa) dice sottovoce alla madre a commento dell’informazione sul deludente risultato dei colloqui con gli insegnanti. «L’adolescenza non c’entra», Giovanna «sta facendo la faccia di Vittoria», ovvero della brutta e malvagia sorella minore (quasi 40enne). La dodicenne si sente sconvolta e ferita in un periodo di fragilità e svogliatezza: da un anno ha avuto le prime mestruazioni, si vergogna per come si sente cambiare dentro e fuori (odori e languori, seno in crescita, capelli e peli in trasformazione), adora i genitori e soprattutto il padre che le hanno dipinto una zia pessima povera sciatta, infrequentabile, tenendola dunque a distanza, nei quartieri bassi con gli altri parenti. Impara a dire bugie, decide di conoscere Vittoria e diventa Giannina, per la zia e per un po’. Vittoria, in realtà, è alta e bella, vive nel ricordo del grande amore Enzo insieme alla di lui moglie vedova Margherita e ai figli del matrimonio, Tonino, Corrado e la splendida Giuliana fidanzata con il mitico Roberto di cui s’invaghisce, primo vero amore.
Chiunque sia, Elena Ferrante è napoletana di fatto e diritto, forse; nata nella prima metà degli anni cinquanta, forse; oggi probabilmente la più brava scrittrice italiana, certo quella di maggior meritato successo, nazionale e internazionale. I suoi romanzi sono ruvidi e trasudano lividi, slabbrature, smargini. Ne La vita bugiarda degli adulti, pubblicato dalla sua casa editrice di sempre, la e/o, Ferrante narra meravigliosamente in prima, un continuo flusso di coscienza momentanea e retrospettiva, in questo caso in parte un filo di un racconto adolescenziale reinterpretato, in parte un dolore arruffato e senza redenzione. Affronta i momenti essenziali di tre anni importanti, individueremo poco del prima e sapremo nulla del dopo, solo che Giovanna è viva e pensa ancora molto. Con acume e interesse incontreremo alcune di quelle persone che la circondarono allora, non i compagni di classe e i docenti al liceo del Vomero, non altri amici e conoscenti inevitabilmente frequentati, solo le relazioni essenziali e funzionali.
Non è e non ha un’amica geniale, impara sola a non essere più bambina. Scopre il chiacchiericcio supponente dei colti, gli amori molesti, i giorni dell’abbandono, la genitorialità e la figliolanza oscure, le frantumaglie della coscienza adulta in cui sta entrando, chi fugge e chi resta, i mille modi di stare (male) al mondo, la vita bugiarda a tratti di tutti i grandi piccoli uomini (e donne), da cui il titolo. A ogni nitido ricordo delle scoperte di quegli anni, accenna a quel che “oggi” potrebbe forse aggiungere, da donna, 25 anni dopo. Non fa sconti: lei e ogni personaggio risultano ovviamente “impuri”, doppi o plurivalenti nei comportamenti concreti e nella comunicazione affettiva. L’autrice è stata capace di inventare un genere letterario proprio, al confine di tanti e questa è la forte continuità con i quattro volumi che l’hanno resa famosa nel mondo. Così non manca nemmeno un filo noir, un “falcone maltese” luogo tutto il racconto, il braccialetto d’oro, di origine e influsso contrastanti. Si fanno azioni che sembrano azioni e invece sono simboli. E alcuni pensieri sprigionano a volte una forza latente, afferrano immagini contro la tua volontà, te le spingono per una frazione di secondo sotto gli occhi. Da leggere!
Recensione di Valerio Calzolaio
Giovanna, voce narrante dell’ultimo romanzo di Elena Ferrante, è una ragazzina di tredici anni, figlia unica di Andrea e Nella entrambi insegnanti, genitori colti, di sinistra e decisamente progressisti. Ci racconta la sua vita dai tredici ai sedici anni, tre anni sofferti e confusi come solo riesce a essere questa età per un’adolescente che d’improvviso scopre di quante e quali menzogne sia fatta la vita degli adulti che la circondano. Non solo quella dei genitori, ma anche dei loro amici più cari, Costanza e Mariano delle cui figlie, Angela e Ida, Giovanna è amica intima, fin troppo forse.
Amatissima dal padre Andrea, che Giovanna considera una specie di divinità ultraterrena, un giorno in cui ha riportato un cattivo voto dalla scuola, lo sente pronunciare una strana frase: Giovanna sta facendo la faccia di Vittoria. Colpita più dal tono di disprezzo che dalle parole in sé, la ragazzina vuol sapere chi è Vittoria e perché venga nominata con tanto astio da suo padre. Scoprirà che Vittoria è la sorella di Andrea, che non si parlano da anni e si detestano nel profondo, che si accusano l’un l’altra di aver avuto la vita rovinata da comportamenti sbagliati e cattivi. È vero? Giovanna vuole la verità, ma in questa disperata ricerca si perderà e rischierà di non ritrovarsi più.
L’incontro con Vittoria le cambierà la vita permettendole però di venire in contatto con un mondo, fino a quel momento, a lei ignoto: quello dei quartieri disagiati e periferici della città di Napoli, la zona industriale e il quartiere di Poggioreale. Conoscerà così la famiglia di Margherita, amica di Vittoria e vedova dell’uomo che entrambe hanno amato molti anni prima; i suoi figli Giuliana, Corrado e Tonino; Roberto, fidanzato di Giuliana, che viene da quel brutto quartiere, ma ha studiato e vive a Milano dove insegna con successo ed è stimato da molti; Rosario, amico di Corrado e figlio di un avvocato di camorra.
Vittoria, a cui Giovanna si convince di assomigliare – quasi volesse a tutti i costi dar ragione alla triste frase pronunciata da suo padre – nei lati più sgradevoli dell’aspetto e del carattere, è una donna violenta e malmostosa, avvelenata dalle sconfitte che l’esistenza le ha apparecchiato e delle quali incolpa il fratello Andrea, colto forse, ma falso e traditore nel profondo. Giovanna è combattuta: a chi credere? Ai racconti di Vittoria sulle malefatte del fratello Andrea pronunciati con livore e volgarità, o a quello che le dicono i suoi genitori con parole calme e razionali? È vero che Vittoria vuole strapparla alla sua famiglia per vendicarsi di Andrea? Difficile per una ragazzina di quell’età capire cosa si nasconda dietro questo teatro degli specchi. Finché anche Nella e Andrea le dimostreranno di averle mentito, sebbene non su Vittoria, ma sul loro matrimonio. Si lasceranno e Andrea andrà a vivere con Costanza e le sue figlie mentre il marito di lei, Mariano, inizierà una relazione con Nella. Un nuovo baratro si apre nella vita di Giovanna che intanto deve fare i conti con la sensualità e i desideri profondi dell’adolescenza.
Con la quadrilogia de L’amica geniale, e prima ancora con L’amore molesto e I giorni dell’abbandono, la Ferrante ci ha abituati ai grandi drammi che toccano il corpo e la mente delle donne giovani e adulte, senza distinzione. Il senso di perdita e abbandono, lo smarrimento e la confusione di fronte a eventi difficili da comprendere o per i quali le protagoniste non hanno strumenti di elaborazione e risoluzione, formano l’essenza profonda dei suoi romanzi.
Anche in questa Vita bugiarda l’autrice tiene il lettore costantemente in bilico sul ciglio di un baratro che pare spalancarsi a ogni pagina precipitando protagonista e comprimari nel disastro finale. Un libro duro e scabro, spietato nel descrivere l’animo contorto, le gelosie, le passioni e le falsità mascherate e giustificate malamente da ciascuno degli attori in gioco, dal quale solo Giovanna, nel finale, sembra risorgere e riscattarsi.
Ho cominciato a leggere l’ultimo romanzo di Elena Ferrante con una certa difficoltà.
Certo, appena ho saputo che era in libreria ho dovuto procurarmi una copia de La vita bugiarda degli adulti, e ho resistito appena poche ore prima di iniziare a sfogliarlo. La quadrilogia dell’Amica geniale è stata una delle saghe letterarie più rivelatrici della mia vita, tra quelle pochissime opere che negli ultimi anni è riuscita a unire in me il sincero gusto per la lettura, quello che impedisce di spegnere la luce la notte pur di sapere come continua la storia, alla consapevolezza di avere tra le mani un prodotto letterario importante.
Proprio per questo la notizia che l’autrice ha scritto un libro nuovo ha suscitato in me, che non ho letto le sue opere precedenti proprio per paura di rovinarmi in qualche modo la storia di Lila e Lenù, sentimenti contrastanti.
Volevo esser parte del dibattito che inevitabilmente sarebbe nato intorno a questo romanzo, ma temevo che non l’avrei letto con il dovuto distacco: la tentazione di fare confronti sarebbe stata sempre dietro l’angolo, e dare un giudizio oggettivo sull’opera mi avrebbe messa in seria difficoltà.
Così, per prima cosa ho azzerato le mie aspettative: ho cominciato a leggere senza aspettarmi assolutamente niente, quasi partendo dal presupposto che sarei rimasta delusa. Per le prime dieci, quindici pagine ho mantenuto un certo distacco: leggevo e mi dicevo che tutto sommato non c’era nessuna magia in quelle parole incastrate una dietro l’altra, che erano solo parole qualsiasi che raccontavano una storia qualunque.
Poi ad un certo punto, più o meno nel momento in cui entra teatralmente in scena zia Vittoria, ho visto ripetersi lo strano incanto de L’amica geniale: quando avevo cominciato a leggere ero tutta intera e quelle parole mi stavano lentamente aprendo la pancia, svelandomi com’ero fatta dentro e dove si trovavano pezzi di cui non sapevo neanche di essere composta.
La vita bugiarda degli adulti è la storia dell’adolescenza di Giovanna, la voce narrante, una ragazzina di buona famiglia cresciuta nella parte alta di Napoli, a San Giacomo dei Capri. All’inizio del romanzo Giovanna ha dodici anni, vive ancora nel clima ovattato dell’infanzia in cui i suoi genitori, entrambi insegnanti e intellettuali, sono i punti di riferimento più importanti e l’obiettivo di ogni giornata è renderli fieri e non scontentarli.
In particolare, Giovanna vive nel culto del padre, Andrea Trada, che si è impegnato a farla crescere in un ambiente privilegiato, stimolante, moderno, in cui non c’è niente di proibito o di censurato, praticamente nella famiglia del Mulino Bianco. Tutto cambia quando Giovanna sente l’amato padre dire di lei che somiglia a sua sorella Vittoria, un fantasma di bruttezza e cattiveria con cui la famiglia ha da tempo tagliato tutti i ponti. In questo modo la bambina scopre all’improvviso di essere brutta e nasce in lei una nuova ossessione: vedere la zia Vittoria per scontrarsi con lo spettro del suo futuro.
Inizia così il viaggio metaforico e letterale di Giovanna tra una Napoli di sopra, che è quella dei suoi genitori e si rivela presto una facciata vuota e finta, e una Napoli di sotto, su cui domina zia Vittoria, non meno insidiosa ma per lo meno vera e viva. La prima cosa che la protagonista scopre sul mondo degli adulti è la loro abitudine a mentire. I suoi genitori non sono perfetti come se li è sempre immaginati, la loro vita tranquilla e ordinata è una costruzione a tavolino, ma anche zia Vittoria non è il personaggio assoluto che appare all’inizio e Giovanna deve imparare ad avere senso critico, a vedere le persone senza filtri, così come sono. L’unico modo per farsi strada in questa nuova realtà è, come capirà presto, diventare a sua volta bugiarda.
Come ne L’amica geniale, individuare i cattivi nell’universo minuzioso creato dall’autrice è relativamente facile: Andrea Trada, l’uomo perfetto, buono e generoso che Giovanna venera durante l’infanzia, si svela come il villain della vicenda prima di perdere totalmente significato. Capire chi sono i buoni è invece più difficile: man mano che Giovanna cresce le persone e le cose intorno a lei si svuotano di qualsiasi tratto positivo. La salvezza e la pace sembrano possibili per lei solo tramite la ratifica e l’approvazione di un uomo: la ragazza stessa percepisce l’assurdità di questa situazione, ma non riesce ad impedirla.
La vita bugiarda degli adulti presenta tutti i tratti fondamentali di un buon romanzo di formazione. La complessità della prosa e della storia cresce insieme a Giovanna, la banalità degli adulti viene rappresentata senza pietà e sullo sfondo emerge una Napoli contraddittoria, bieca e intellettuale allo stesso tempo. È impossibile rifiutare una delle due facce di questa città complessa senza scivolare nella più atroce mediocrità, come è accaduto al padre della protagonista.
Manca la catarsi conclusiva, probabilmente perché il finale aperto lascia presagire un seguito. Non ho apprezzato questo spiraglio verso pubblicazioni future, che rischia di rendere inutilmente aggrovigliata una storia che avrebbe potuto bastare a se stessa. Le trame di Elena Ferrante hanno la tendenza a diventare molto complicate e a svolgersi in mondi dove sembra che i soliti dieci, quindici personaggi non facciano altro che incontrarsi per caso e intrecciare le proprie vite in un disegno senza scampo. Questa caratteristica ricalcava abbastanza fedelmente la vita reale e l’impossibilità di una redenzione ne L’amica geniale e bisogna augurarsi che non diventi un limite nell’ipotetico sequel de La vita bugiarda degli adulti.
Se un prossimo romanzo ci sarà, in ogni caso, io sono pronta a leggerlo senza aspettative e ad essere nuovamente contraddetta.
Recensione di Loreta Minutilli
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