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Si tratta di un testo che raccoglie conferenze sulla verità e l'interpretazione che poi sono state riorganizzate per farne un'opera. L'assunto di fondo è che una filosofia degna del nome non può che essere un posseso personale e situazionale della verità dell'essere il quale dà tutto se stesso nella sua ineusaribilità e perciò la persona non può che esprimerlo in una configurazione cui l'inesauribile eternità dell'essere è indisgiungile dalla prospettiva personale e storica. Ogni filosofia dunque degna del nome è sì espressione di verità, ma in virtù dell'indisgiungibile e dell'inesauribile, tale espressione non puà essere oggettivata e spiegata una volta per tutte, ma interpretata, dando luogo ad altre interpretazioni. Il confronto tra le interpretazioni è possibile perchè attingono tutte dalla relazione personale ontologica con la verità dell'essere. A questo riguardo si può parlare di personalismo ontologico rivelativo, in quanto la persona è tale solo se in relazione all'essere, ed è questa relazione tra eternità e temporalità a far sì che la filosofia sia un pernsiero non soltanto espressivo, come vorebbe il culturalismo sociologico, il neo illuminismo o il marxismo, ma anche rivelativo, evitando per un verso che la persona sia soltanto uno strumento della storia, della cultura, delle scienze umane, dell'ideologia, della prassi strumentale, e per l'altro dando dignita alla persona nella sua radicalità storico-culturale e ontologica. L' A riconosce i debiti con Heidegger e Jaspers ma mette in evidenza che nella relazione con l'Essere la persona è libera di decidere per o contro l'Essere ed è in questa libertà l'immanenza della condizione tragica della persona e in più l'essere non si coglie nell'ineffabile o nella cifra ma in un esplicito che conserva sempre dell'implicito proprio per la ricchezza inesauribile del significato veritativo dell'Essere. Fondamentale la premessa di Riconda, le citazioni e i riferimenti e l'appendice del 1972 dello stesso Pareyson.
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