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L’ultima vela è l’ultimo spazio che un uomo può ritagliarsi nel suo percorso terreno, di cui intende lasciar traccia, se non per altri, almeno per sé, onde verificare il suo trascorso prima di chiudere il libro dell’esistenza. Questa opera postuma è a tutti gli effetti un’autobiografia, in versi endecasillabi, che donano struttura, equilibrio e armonia a una poesia che ha un unico tema, quello appunto di parlare della propria vita. Di raccontarsi, di essere sincero perfino con se medesimo lo si nota perfino dai primi versi, in cui l’autore non fa sconti per nessuno, e a maggior ragione per se stesso. Sarebbe però troppo riduttivo vedere l’opera solo sotto l’aspetto autobiografico, come del resto testimoniato da questa serie di metafore che traggono origine dalla trascorsa e lunga attività sul mare, sostengo che sarebbe ancor peggio semplicistico ricondurre il tutto a una se pur pregevole trasposizione in versi della propria vita. Del resto queste prime strofe che, anziché disorientare o affaticare il lettore lo avvincono con il ritmo che ha il sapore dell’onda che lenta alla spiaggia arriva, hanno anche il pregio di far balenare il vero scopo di questo bel lavoro. Già, parlar di sé senza raffrontarsi con il mondo che ci circonda sarebbe troppo semplice, ci farebbe apparire soggetti passivi trascinati dagli eventi e dal senso comune senza porci quei problemi che solo menti elette possono e devono proporsi. E’ così che l’autore espone il proprio senso della vita, in evidente contrasto con la società di cui è parte e che, più che vivere, vegeta, distratta, priva di valori, dimentica del passato, incapace di rendere reattivo il presente e del tutto disinteressata del futuro. Completa l’opera un’appendice in deroga, ove più evidente riappare quella vita di mare che ha lungo ha accompagnato l’autore, solo due poesie, non a caso in chiusura di un lungo adagio, la nota finale che ribadisce quanto prima espresso, il tocco di grazia che chiude una sinfonia di parole.
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