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Tre libri piacevoli, di lettura lenta ma non per questo noiosa. Ambientati nella cittadinia immaginaria di Holt a due ore di strada da Denver Colorado, raccontano il quotidiano dei cittadini di questa cittadina che sicuranente rispecchia la vita dell'americano medio del Midwest americano. Di certo nella più lontana realtà di noi europei e per questo molto interessante, Assolutamente da leggere.
Holt non esiste geograficamente,ma esiste nei nostri cuori; nei cuori di chi ha letto la trilogia e ne è stato rapito. Si dice che leggere ci faccia viaggiare,e allora mi sento di consigliarvi di prendere un biglietto di sola andata per Holt,Colorado,e di farsi rapire e cullare dalle sue costruzioni in mattoni,dalla polvere,dalle colline,dalle strade del sogno americano. Filo conduttore dei tre romanzi è la vita,il suo incessante e lento trascinarsi nel tempo,i suoi cambiamenti e le sue abitudini; i rapporti umani che nascono e si sviluppano,gli amori e gli addii; le separazioni e il dolore che ne consegue. Haruf descrive con minuzia i più piccoli dettagli e particolari. Sembra di conoscere da tutta la vita i suoi personaggi,e di essere nati nei luoghi descritti. Holt è una seconda città,una seconda casa alla quale torniamo volentieri,per gustarci la sua tranquillità. Auguro a chiunque leggerà questa trilogia di perdersi,e di ritrovarsi alla fine a guardare l’ultima pagina con le lacrime agli occhi.
Ho scoperto Haruf grazie al film "Le nostre anime di notte" con Jane Fonda e Robert Redford. Ho letto il libro dal quale era stato tratto il film e subito dopo la trilogia di Holt. Trovo Haruf un autore del quotidiano, senza fronzoli, ma di una precisione maniacale, frutto di ricerca approfondita. Poi mi ha colpito la sua peculiarità di fare di narrazione e dialoghi un unicum di grande funzionalità.
Recensioni
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Se per avventura si attraversano in auto gli Stati Uniti, di tanto in tanto, le centinaia di chilometri di strade deserte, senza variazioni sensibili del paesaggio, possono essere interrotte da cittadine simili a Holt. Agglomerati che a fatica definiremmo urbani, piuttosto il risultato della fantasia di un bambino che si diverte con i lego. Eppure, in questo luogo così desolato, prendono vita le storie della Trilogia della pianura, i cui protagonisti s’imprimono invece nell’immaginario del lettore – affascinato dalla loro potenza archetipica – con la forza propria dei personaggi destinati a diventare eterni.
La Trilogia della pianura è un viaggio attraverso il buio e la luce dell’essere umano; buio e luce che emergono nell’apparente calma di una vita molto “normale”, lontana dal caos della metropoli e dai suoi abitanti così interessanti, sfaccettati, sapienti. Eppure questo viaggio è in grado di commuovere, colpire e impressionare. Perché nella piccola cittadina di Holt, dove sembra che la vita “passi” senza essere degna di nota, c’è invece spazio per i contrasti più forti ed esplosivi. Nella piccola cittadina di Holt c’è un marito premuroso, accudito fino all’ultimo istante di una vita che saluta nel modo in cui chiunque vorrebbe, ma che ha allontanato da sé un figlio di cui non ha condiviso le scelte; c’è un professore che pur di difendere il valore del proprio insegnamento è pronto a opporsi a un sistema che lo vorrebbe far tacere, rischiando la gogna; c’è una donna che chiude (anzi spranga) la porta di casa, quando la pancia della figlia inaspettatamente si gonfia; ci sono figli costretti a crescere in fretta, orfani di una madre viva soltanto all’apparenza; ci sono due ragazzini che, in pagine che sembrano dell’orrore, vengono umiliati e terrorizzati, solo per vendetta. E poi ci sono loro, i due fratelli McPheron, custodi del bene, calici di umanità incorrotta e incondizionata, belli nonostante la loro “ignoranza”, sporcizia e puzza d’animale che si portano addosso.
Questa galassia emotiva, Kent Haruf è in grado di tratteggiarla con uno stile secco e delicatissimo, che incanta. Sottraendosi al destino che ormai vuole un libro sullo scaffale di una libreria per appena due, tre mesi, questa trilogia c’è rimasta per quasi due anni. E l’augurio è che continui a stare lì.
Recensione di Alessandra Penna
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