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Un giardiniere, un passato di rivoluzione e di amore perduto, che parla alle piante e chiede loro dove vogliono essere piantate. Una giovane donna, che ne ama i racconti, il non detto e la faccia di cartapesta. E un nero di pelle, coperto di colori di fiori, con un debito di un bicchiere di vino e un nocciolo di oliva in bocca... Un testo sublime, che arriva al cuore e che segna proprio per come è scritto. E la bravura sta proprio là, nell'emozionare il lettore, nel farlo vivere e soffrire e amare assieme ai personaggi e fino all'ultimo istante, nonostante la quarta di copertina, come si legge nei commenti precedenti, ci sveli già molte cose.
Bellissimo!! Per me è poesia in forma di prosa. Certo non è facile ma da leggere e rileggere...
Nella quarta di copertina è svelata praticamente la trama del libro, quindi non c'è alcun effetto sorpresa. il romanzo si legge per inerzia e non ha alcuno spessore, anzi l'ho trovato molto banale e per nulla originale. quelle frasi intervallare da una copiosa punteggiatura non aiutano per nulla il romanzo anzi... a mio avviso lo penalizzano!
Recensioni
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recensioni di Pent, S. L'Indice del 1999, n. 12
Accade spesso, nei libri di Erri De Luca, che la vocazione lirica prenda il sopravvento sulle intenzioni narrative, regalando al contenuto una purezza quasi esemplare, dove ispirazione e memoria attraversano le pagine con un'umiltà talora disarmante, ma viva perché profondamente, semplicemente terrena. La coerenza, anche stilistica, è un altro punto a favore di De Luca, che soffia in pubblico le sue proposte con la quieta saggezza di chi ha prima vissuto e poi parlato. La tentazione celeste sfiora talvolta il paradosso di pentimenti dal sapore antico, quando ancora gli umani timori trovavano aperta la strada verso inattese resurrezioni: questo contrasto tra dedizione laica all'esperienza e mansueta consapevolezza dei limiti esistenziali caratterizza tutta la storia letteraria dell'autore.
L'educazione alla vita presente nel romanzo precedente, Tu, mio (Feltrinelli, 1998), aveva tracciato una rotta ideale verso il racconto aperto. Con questo Tre cavalli De Luca torna a capofitto nella pura ispirazione poetica, tanto che il contenuto potrebbe esser letto come un poemetto esistenziale, senza per questo perdere nulla della sua singolare, commossa efficacia.
Come sempre l'autore suggerisce e sussurra le situazioni, e come sempre anche il dolore e la morte risultano umani dati di fatto in un contesto che ha il pregio di mantenersi su una stessa tonalità nebbiosa, dove il rosa dei momenti di quiete o il lampo accecante della violenza transitano sommessi. Tutto è avvolto nel racconto sfumato di ciò che la vita sceglie quasi a caso nella lotteria dei destini.
A ogni uomo, recita una filastrocca, è consentita una durata di tre ca-valli: il primo cavallo il narratore - un giardiniere cinquantenne tornato in Italia a leccarsi le ferite del tempo - lo ha consumato a vent'anni in Argentina, dove perse il primo amore nell'inferno della dittatura. La lotta clandestina, la fuga, un nuovo rapido amore e il maldigerito sapore di lontananza ed esilio, rendono rude la corteccia d'albero del suo carattere. Ma l'età segna rughe profonde sul collo e nell'anima, e la conoscenza delle piante regala al reduce una saggezza ormai quasi anziana. L'incontro con la smarrita Laila rinnova la fiamma, ma è un gioco di speranze impossibili, rese vane dal contatto della donna col mondo dello sfruttamento. Selim è un passo d'Africa che offre cieli aperti al disagio del giardiniere: i fiori che quest'ultimo gli regala, le conversazioni, il vino, diverranno fonte di uno scambio di favori addirittura eccessivo, con l'omaggio d'addio di un silenzioso delitto.
Ma se la storia è tutta qui, nel rapido giro d'orizzonte di un inatteso canto del cigno, De Luca ci ha comunque fatto transitare in tutti gli ideali luoghi dell'anima di una vita umana spesa in se stessa, nel gioco impietoso delle casualità, nella luce di giornate ripercorse come il ricordo di un'onda quando già ne sopraggiunge un'altra. Qualche contrazione verbale di troppo a prosciugare una già monacale scelta stilistica - "volto spalle al posto dei sangui", "mi rimetto al daffare" - nulla tolgono a un racconto che contiene un po' ovunque perle di istintiva saggezza. Una per tutte, a riassumere la delicata ispirazione dell'intera vicenda: "i braccianti del mondo si alzano prima della luce, tornano dopo luce. Vanno da buio a buio". Ma per noi è bella - e viva - la luce regalata da De Luca a questa storia semplice e ammaliante.
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