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Anno edizione: 2015
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Sintetica ricostruzione dei fatti storici legati alla vicenda dell'oro di Dongo. Spiace però osservare che il precedente e importante lavoro di Franco Giannantoni (Gianna e Neri: vita e morte di due partigiani comunisti. Storia di un "tradimento" tra la fucilazione di Mussolini e l'oro di Dongo, 1992) non sia citato e nemmeno menzionato nella bibliografia.
Scappavano, fuggivano di fronte agli alleati portandosi dietro parte del tesoro nazionale, oltre a ricchezze personali, più o meno lecitamente accumulate; la colonna di auto al seguito di Mussolini fermata a Dongo era quella dei gerarchi e compromessi con il regime in marcia verso un’improbabile salvezza. La storia poi ci racconta dell’esecuzione di cui furono vittime il Duce e la sua amante e separatamente ministri, sottosegretari, federali della Repubblica di Salò e del partito nazionale fascista. Tuttavia questo racconto non è detto che sia l’assoluta verità, perché nel trascorrere del tempo emergono fatti nuovi e versioni differenti che se nulla cambia circa la fine di questi personaggi, quelle che vengono modificate sono invece le circostanze e le modalità. La verità, quella senza se e senza ma, senza incertezze, non è mai facile da trovare e ancor più difficile lo è quando ci sono di mezzo delle ricchezze, in special modo se sono tante. E, benché non si abbia certezza sull’esatta entità, già alcuni dati che appaiono nel complesso possibili parlano di circa 8 miliardi di lire dell’epoca, di un’ingente quantità di oro, di preziosi vari, insomma quello che non a caso si può definire un tesoro. Tanti l’hanno visto, è passato per non poche mani, ma si è inspiegabilmente perso e tutto lascia supporre che in larga parte sia finito nelle casse del Partito Comunista Italiano, disposto a difendere questa appropriazione indebita con tutti i mezzi, non esclusa forse anche l’uccisione di chi sapeva e probabilmente voleva parlare. Ci furono indagini, si trovarono anche dei presunti colpevoli, tutti dell’area comunista, ma il processo fu continuamente rinviato, tanto che approdò alla Corte di Assise di Padova ben dodici anni dopo i fatti e li si arenò, con il colpo di grazia dato dalla morte improvvisa di uno dei giurati che mandò all’aria tutto il procedimento che evidentemente non s’aveva da fare.
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