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Croce esordì come storico della sua città pubblicando nel 1891 un imponente volume dal titolo I teatri di Napoli. Nel 1915, quando ormai era diventato figura dominante della cultura italiana, Croce riprese in mano il libro e lo sottopose a una complessa revisione, per cancellarvi «le molte tracce d’inesperienza giovanile». Con amabile autoironia, annotò anche nei suoi taccuini che aveva l’intenzione di prepararne «una nuova redazione meno scellerata della prima». Ciò che a Croce premeva mettere in evidenza, ora, riguardava innanzitutto l’innervatura culturale delle singole epoche trattate: tale ottica lo obbligava ad abbandonare l’idea, ancora tinta di positivismo, che il teatro come tale offrisse «un unitario punto di vista storico». Il risultato fu un libro molto diverso, felice in altro modo, più lineare e immediatamente percepibile per quei lettori che rischiavano di perdersi nella «selva di notizie» della prima versione. Come Storie e leggende napoletane, quest’opera è uno straordinario tentativo di vivere la storia napoletana dall’interno, indagandone ogni dettaglio e scegliendo un osservatorio prezioso per contemplare il lento corteo delle forme di una civiltà: quello della vita teatrale che, nelle sue diramazioni sacre e profane, frivole ed erudite, incarnò per secoli lo spirito del luogo con strepitosa vivezza. Nulla meglio di questo libro può servire a confutare quei critici che accusarono Croce di perseguire un’idea astratta e aprioristica della storia nel suo farsi, mentre nell’autore di queste pagine ritroviamo ancora i tratti del giovane erudito quale fu descritto una volta, con parole affettuose e nitide, da Salvatore Di Giacomo: «Questi è Benedetto Croce. Infaticabile lavoratore, egli consacra a’ suoi studii tutta la giornata, passando dalla Nazionale all’Archivio di Stato o da questo alla Società di storia patria. Raccoglie, nota, fruga da per tutto e, rincasato, nel silenzio della sua camera di studio, dispone i suoi appunti per una novella monografia di cento pagine o per un libro che ne conta ben settecento».
scheda di Taviani, F., L'Indice 1993, n. 9
Pubblicato poco più di cent'anni fa a Napoli dall'editore Pierro, riscritto e ripubblicato nel 1916 presso Laterza, innumerevoli volte ristampato, ora finalmente curato in una nuova veste corredata di notizie importanti, questo libro di Croce è un classico della storiografia teatrale, apparentemente nella linea delle storie drammatiche cittadine tipiche della grande erudizione della fine del secolo scorso ma in realtà storia d'un' intera e complessa attività di spettacolo, perché Napoli, come la Sicilia, è una di quelle isole culturali in cui tutto il teatro sembra riassumersi. Il libro di Croce ha alla base erudizione da topo di biblioteca e passione per i teatri, non per i semplici testi messi in scena, ma per i teatri veri e propri, per gli attori, per le loro pratiche, per la loro arte fuggitiva eppure intensa a cui Croce dedicherà più tardi un capitolo della "Letteratura della nuova Italia", spesso frainteso per i soliti equivoci che lo specialissimo gergo crociano (per gli attori usava la qualifica di "traduttori") generava e ancor più genera fra i pressapochismi della pubblicistica teatrale. La "Nota del curatore" che Giuseppe Galasso pone in appendice al volume è assai più d'una semplice "nota". Vi si trovano le indicazioni essenziali per comprendere quale senso avesse, nell'autoformazione di Croce, la lunga disciplina delle ricerche d'erudizione teatrale; vi si leggono i tratti salienti delle più interessanti recensioni coeve alle due diverse versioni di questo libro, in particolare (pp. 367-69), ampiamente citata, quella di Salvatore di Giacomo, dove si trova un bellissimo schizzo dal vivo del giovane Croce. Scrivendo all'Ademollo per ringraziarlo dei suoi studi sul teatro a Roma, Croce nel 1887 sottolineava che la storia del teatro italiano è "trattata sinora, se non sbaglio, in modo troppo unilaterale; dal solo lato cioè del genere letterario, trascurando tutte le relazioni che questo genere letterario aveva colla società e colla vita del tempo". Molti anni dopo, nel 1941, in una nota sulla "Critica" (poi raccolta nel vol. III di "Pagine sparse") ridiscuteva la questione osservando le storie del teatro più recenti e notando che "il teatro come tale non favorisce un unitario punto di vista storico, perché è per così dire un nome collettivo di fatti estetici e di altri variamente culturali e morali". La "nota" di Galasso, come si vede, raccoglie l'antologia crociana essenziale delle questioni di metodo sul tema della storiografia teatrale, fornendo ai teatrologi un prezioso punto di riferimento e di discussione. E significativamente conclude con l'immagine del Croce ottuagenario che nel '46 trascrive di suo pugno un'intera commedia per musica -"La cantarina"- di cui molto tempo prima aveva parlato nei "Teatri di Napoli" mentre anche ad altri personaggi di quel libro che fu quasi un'iniziazione ed un farmaco spirituale andava ancora dedicando attenzione e ricerche.
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