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scheda di Roat, F. L'Indice del 2000, n. 11
È una fiaba postmoderna all'insegna del disincanto l'ultima opera in prosa di Licia Giaquinto, dove una sorta di Cappuccetto Rosso in jeans ha sempre a che fare col lupo cattivo (anzi coi lupi; qui però sono esseri umani, benché stupratori), ma se vuole sfuggire al rapace di turno non può attendere più alcun cacciatore soccorrevole, dovendo affrontare da sé le insidie della foresta/metropoli (nella fattispecie Parigi) magari armata d'ironia e cinismo con i quali difendersi dagli incontri imprevisti in cui è fatale s'imbatta chi, come la protagonista, candidamente ammette che "alle tre di notte, me ne vado a zonzo per Parigi". Ovvio gliene capitino poi di tutti i colori; del resto questi incontri tra il pulp, il trash e il surreale sono l'occasione per una serie di scampoli narrativi - un po' esercizi di stile, un po' esilaranti ritratti scanzonati della fauna notturna d'una grande città - su un viaggio alla ricerca di se stessa dentro in gran ventre d'una Parigi belluina e fantasmatica dove "la strada è solo una finzione. Un lungo nastro svolazzante", ai bordi del quale tra soste e autostop l'io narrante apprende come sfuggire ai "luponi", i quali "non aspettano altro che il momento giusto per sbranarti". Atmosfera e scrittura tuttavia mutano improvvisamente quando la ragazza assiste al suicidio di una donna nella Senna. Una cartolina nel libro lasciato sul parapetto dell'argine fluviale dalla sconosciuta indurrà la protagonista a un nuovo itinerario esistenziale sullo sfondo di quello della suicida, il cui calvario dai toni mestissimi e sofferti svela il registro ambivalente di questo romanzo double-face, per un verso ilare e solare, per l'altro segnato dall'amara "certezza che tutto è putrefazione e morte".
Francesco Roat
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