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Il corposo studio di Laura Riccò, importante per il superamento dei pregiudizi di cui è lastricata la via che porta dal teatro alla letteratura e viceversa, si colloca in un paesaggio di studi tanto disabitato in Italia quanto affollato in Francia, Inghilterra e Spagna, per effetto delle innovative metodologie avviate dalla New Bibliography. Riccò, da molti anni impegnata in queste ricerche, indica molte bene le vie da percorrere e affronta, con rigore filologico, numerose questioni. Istituisce, anzitutto, fecondi confronti metodologici con gli studi europei, rilevando, con un certo orgoglio, come il "libro di teatro" italiano del Cinquecento mostri, con notevole precocità, aspetti e casi editoriali originari. Fenomeni poco conosciuti o ignorati dagli studiosi europei, che li hanno conseguentemente accreditati come tipici del secolo successivo, in genere per induzione dagli studi shakespeariani, avallando gravi errori cronologici e disarticolazioni storiografiche. L'analisi di Riccò fa capire, per esempio, quanto Roger Chartier o altri famosi studiosi europei abbiano esagerato nel rilevare lo "stigma della stampa", vale a dire le forme, pur presenti, di riluttanza nei confronti della stampa da parte degli ambienti teatrali e dei drammaturghi. Con ricchezza di dettagli, Riccò analizza il processo che porta dalle forme dell'oralità alle sempre più complesse e varie forme di codificazione letteraria ed editoriale, spesso legate all'affermarsi della teoria poetica aristotelica, fino al realizzarsi di un nuovo statuto del libro teatrale, dell'autoralità del drammaturgo e di nuove modalità di lettura, su cui si fonda la specificità della biblioteca teatrale. Un interessante capitolo è dedicato ai modi in cui l'attore professionista (il comico dell'arte) si presenta e si riconosce nel teatro in forma di libro. È un itinerario che si compie in modo diverso. Da una parte le attrici, come Isabella Andreini, che esordisce nella lirica e in un genere drammatico del tutto nuovo come la pastorale, dall'altra gli attori che praticano la rilettura della commedia con criteri solo in parte aristotelici, oppure, come Francesco Andreini e Flaminio Scala, seguono la via dell'invenzione di nuovi generi intrecciando modelli scenici e letterari. Il capitolo finale è dedicato alle diverse "forme-libro" e all'incidenza che esse hanno avuto, soprattutto con i loro apparati iconografici, "sul significato stesso del testo drammatico". L'indagine sull'iconografia del libro di teatro cinquecentesco, esemplificata da 89 illustrazioni, è articolata e per certi versi innovativa, specie laddove espone e interpreta la dinamica e la dialettica di filoni iconografici diversi, anche storicamente, ma spesso compresenti. Alla confezione di questo considerevole libro, frutto di molti anni di ricerca e caposaldo di studi futuri, avrebbe giovato, se non altro per la sua natura di libro contenitore di libri, una comoda bibliografia finale.
Luciano Mariti
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