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Margherita Loy, al suo esordio narrativo, firma con una scrittura precisa e toccante un romanzo intenso e importante, un canto sommesso e vibrante alla vita e al nostro essere umani.
Ma l’odio non è germogliato all’improvviso. Oh no. Io ho visto la gente di Budapest cambiare. Un pomeriggio dello scorso inverno, poco prima dell’invasione tedesca, ero sul tram quando sono saliti due zingari. Tra i passeggeri si è creata subito tensione. Gli sguardi bassi accompagnavano il silenzio che iniziava a rotolare lento; le parole si spegnevano a canone, prima le voci di quelli dietro quindi di quelli davanti. In un istante, il silenzio ha invaso tutto il tram. Le mani stringevano più forte le borsette o a ondavano ancor più nelle tasche. Il controllore ha chiesto ai due zingari i biglietti. Erano anziani. Probabilmente erano arrivati a Budapest da poco. Hanno mostrato il loro biglietto. Il controllore ha detto che non andava bene. Tutti noi che eravamo lì abbiamo visto che il tagliando esibito era corretto. Nessuno ha fatto niente. Neanche io.
Gennaio 1945. Bombe e artiglieria distruggono Budapest. L’Armata Rossa stringe l’assedio intorno alla città. L’esercito nazista non intende retrocedere. Kinga, vent’anni, rifugiata nella cantina, scrive. Scrive perché tornare con i ricordi nella casa di campagna in cui ha vissuto insieme alla nonna diventa ora l’unica forma di libertà. Scrive perché il suo amore per il giovane ebreo Gyalma le permette di essere di nuovo al piccolo lago ai confini del mondo e rivivere attimo per attimo la passione. La fame, quando la penna scorre sul suo diario, si allontana. Gli odori e la paura, si dileguano. Grazie al grande vuoto del tempo fioriscono ricordi: il padre italiano che dipinge e che ha abbandonato la famiglia, suo fratello Alexander che le stringe la mano in una giornata di dolore, l’istante in cui la sua treccia di lunghi e scuri capelli viene sciolta nel retro della bottega del paese. E, ancora, le passeggiate con il cane Maxi, l’odore della primavera e della felicità che sa di burro fuso e albicocche sotto spirito… Ma l’attesa consegna con sé anche una nuova, dolorosa, consapevolezza. E se l’infanzia di Kinga si è perduta un giorno in riva al Tibisco, la cantina a due passi dal Danubio ha tenuto prigioniera la sua giovinezza per consegnarle una nuova, incerta, età da vivere in un mondo in cui la gente improvvisamente si è trasformata, e si è riscoperta razzista, accecata dall’odio, assetata di violenza.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ho amato molto questo libro:è scritto benissimo e la storia è veramente bella. Fa riflettere, soprattutto in questo momento in cui siamo costretti a muoverci meno e ci fa capire quanto il nostro sacrificio sia veramente pochissima cosa confrontato a quello che milioni di persone hanno dovuto patire (e tuttora patiscono) in tempi di guerra.
Kinga è una ragazza ungherese che trascorre alcuni mesi nella cantina della sua casa di Budapest durante i bombardamenti dell'esercito russo per liberare la città dai tedeschi. Insieme a lei, la madre e il fratello con la fidanzata; il padre, italiano, li ha abbandonati per tornare al suo paese, Cervignano in Friuli. E li, tra quelle quattro mura, con la convivenza forzata con tante altre persone rifugiate, lei scrive, ogni giorno, come le aveva detto la nonna materna, regalandole una penna, quando Kinga era ritornata a Budapest : "Scrivi, qualsiasi cosa accada, scrivi". Ed è la scrittura che la aiuta a superare le paure, a esorcizzare la morte che la circonda, a sopportare freddo, fame, malattie, a sperare nel futuro anche quando intorno è tutto rovine e morti. Scrivendo ricorda anche la nonna che pian piano ha imparato ad amare, il suo primo e unico amore di cui non sa più nulla, il padre con i suoi dipinti... Dopo quasi sessant'anni Kinga riprende in mano il suo diario che ha salvato e gelosamente custodito e scrive l'ultimo capitolo per chiudere il cerchio.. Bella storia, molto vicina al vissuto della famiglia del marito dell'autrice. La prosa è sintetica, come necessita essendo un diario, con momenti riservati ai flashback e ai ricordi del passato che per Kinga diventano lenimento del male del presente
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