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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2018
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Indice
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Il modo di raccontare non mi ha particolarmente coinvolta, l'ho trovato statico e noioso. Certo è che la sopravvivenza dell'uomo passa anche attraverso la salvaguardia di un idoneo habitat per le api e gli altri impollinatori.
Un bel libro, dalla lettura scorrevole. Fatto di tre storie diverse che si svolgono in tre luoghi e tempi diversi ma che in realtà si rivelano legate fra di loro. Un libro gentile, che affronta un grande problema con toni pacati. Un libro non apocalittico, ma fatto di speranza. Il futuro siamo noi e possiamo cambiarlo. In meglio
Nessun romanzo magnifico, ma assolutamente banale e prevedibile. Nessuno dei personaggi risulta particolarmente interessante. Persone ordinarie nella loro quotidianità. Le 3 storie intrecciate davano anche fastidio.... ho letto ognuna separatamente. 3 stelle solo perchè mi ha fatto compagnia sotto l'ombrellone!
Recensioni
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Edito da Marsilio nella traduzione di Giovanna Paterniti, La storia delle api di Maja Lunde è un romanzo epico che ruota attorno all’interrogativo su un ipotetico disastro ambientale: se le api scomparissero cosa succederebbe? La tematica diventa quindi motivo di riflessione.
Con uno stile narrativo appassionante l’autrice ci fa riflettere su un argomento di grande attualità, prospettandoci conseguenze inevitabili di un futuro che potrebbe non essere troppo lontano. Le api sono le protagoniste di questo romanzo. Partendo da un fatto reale, ovvero la Sindrome dello spopolamento degli alveari riscontrata la prima volta nel 2006 nel Nord America dove intere colonie di api sono morte – l’interrogativo “senza api non può esserci impollinazione, quindi mancanza di colture, scomparsa del bestiame e in ultima analisi la morte delle api corrisponde alla morte degli esseri umani” – tutti siamo invitati a riflettere. Ma il campanello di allarme che risuona nelle pagine del libro è trattato in modo potente e delicato per l’umanità delle storie che l’autrice intreccia con quella delle api e che rendono la lettura ricca e piena di sfumature. La storia delle api racchiude tre storie legate dal progetto di un rivoluzionario modello di alveare. Tao è la prima ad apparire sulla scena. E’ una giovane madre che alla fine del 21° secolo si dedica all’impollinazione manuale in una Cina dove le api sono ormai scomparse. Poi ci sono le vicende di William, biologo inglese vissuto nell’Ottocento, studioso di grandi ambizioni ma che si è dovuto adattare a fare il venditore di sementi per mantenere la famiglia in quanto padre di otto figli e che per riabilitarsi agli occhi dell’unico figlio maschio e a quelli del suo professore esce dall’apatia della depressione e progetta un nuovo tipo di arnia, purtroppo fonte di una cocente delusione. In terza battuta vi è la storia di George, apicoltore dell’Ohio che si affida alla tradizione per contrastare la misteriosa moria del 2007. Tre storie distanti nello spazio-tempo, ma unite intimamente dal ronzio continuo e dalla danza incessante delle api dove la bravura narrativa di Maja Lunde sta proprio nel saper cambiare registro stilistico adattandosi al tempo e al luogo.
Le api sono il sogno e l’ossessione dei tre protagonisti. La passione arriva ad isolarli dai propri cari costringendoli a vivere situazioni in grado di dominarli. Così è per Tao che obbligherà se stessa e il marito a usare l’unica ora libera al giorno per portare a termine il progetto di far rivivere le api tra i fiori cinesi; così per William che spinto dal sogno dell’arnia perfetta non si occuperà più della sua famiglia e anche per George che pretende che il figlio diventi apicoltore e abbandoni il progetto di dedicarsi alla letteratura. Accanto al tema dell’equilibrio ambientale troviamo ben strutturati i sentimenti che determinano le azioni, primo fra tutti l’amore. Amore per i figli, per il coniuge, ma anche per la passione e per la scienza.
Leggere La storia delle api significa immergersi in una lettura entusiasmante, essere coinvolti nell’esistenza e nei problemi familiari dei tre protagonisti. Il romanzo è complesso, emozionante come un thriller psicologico, scritto in modo straordinario. Maja Lunde finalmente entra anche nelle librerie italiane con questo best seller definito epico,dopo esser stato tradotto in diciannove lingue e pubblicato in più di trenta paesi.
Recensione di Clara Domenino
“Ai passanti si presentava una scena palesemente grottesca: vedevano un uomo che si chinava verso terra e osservava rapito i fiori per poi scattare in piedi e mettersi a correre come se fosse impazzito, quindi si fermava ancora un po’ e di nuovo si rimetteva a correre. Un signore a passeggio si è avvicinato a mia moglie molto preoccupato: “Stia attenta, signora, c’è un pazzo nel bosco che continua a saltare in mezzo ai fiori”. E mia moglie gli ha risposto: “Non si preoccupi. È mio marito. Forse un po’ matto lo è, ma non è pericoloso”.
È uno dei tanti aneddoti che fanno sorridere leggendo il volume L’intelligenza delle api. Cosa possiamo imparare da loro, del neurobiologo tedesco Randolf Menzel, allievo dello zoologo Martin Lindauer, a sua volta allievo del premio Nobel Karl von Frisch, a testimoniare il legame di alcune delle voci più autorevoli in campo apistico. Dopo decenni di ricerche ed esperimenti, aggiornati anche con l’uso delle nuove tecnologie, Menzel ha tradotto la sua passione scientifica con l’aiuto del filosofo Matthias Eckoldt e ci consegna un testo denso e articolato pur nell’intento divulgativo, in cui veniamo accompagnati passo passo a capire come funziona un cervello grande appena un millimetro e composto di circa un milione di cellule nervose (contro i circa 86 miliardi di neuroni presenti nel cervello umano), e che fa dire a Menzel che “l’architettura del suo cervello fa sì che l’ape sia più intelligente di qualsiasi computer”. Non solo, pur non esistendo un’unità di misura dell’intelligenza, si può affermare che una piccola insetta come l’ape sia più intelligente di un elefante: prendendo infatti come metro la capacità di apprendimento, e quindi la velocità con cui possono essere elaborate e richiamate le informazioni, la neuroscienza ha dimostrato che “quanto più vicini sono fra loro i neuroni, tanto più elevata è la velocità di comunicazione tra di essi. Perciò un cervello piccolo come quello delle api, nonostante il numero relativamente ridotto di neuroni, può arrivare a prestazioni di intelligenza elevate. Nel cervello dell’elefante invece i neuroni sono molto numerosi, ma abbastanza distanziati fra loro, perciò le comunicazioni fra queste cellule non sono particolarmente rapide”.
E di pesticidi e grave moria delle api, ma anche di memoria – umana, collettiva, perché no, auspicabilmente rivoluzionaria? – parla diffusamente un altro testo recentemente pubblicato, non un saggio né un testo tecnico ma un romanzo corale, La storia delle api, che intreccia passato, presente e un non troppo inverosimile fantafuturo, scritto con sapienza dalla scrittrice e sceneggiatrice norvegese Maja Lunde. Una narrazione epica, non solo nel procedere della lunga trama, ma nell’orizzonte che dispiega facendo incontrare Occidente e Oriente in un comune dramma: la continua distruzione dell’ambiente in cui viviamo, con l’attenzione rivolta alle api perché è grazie anche al loro essere impollinatrici, oltre che produttrici di miele, che è possibile la riproduzione dell’ottanta per cento delle specie vegetali, qualcosa che ha a che vedere con l’aria che respiriamo e il cibo che mangiamo. Due uomini e una donna, a lei è affidato un finale a sorpresa ricco di speranza, che vivono in epoche diverse ma tutti si occupano delle insette danzanti: nel 1852 incontriamo il biologo inglese William Savage - figura tratteggiata pensando al reale Lorenzo Langstroth che ideò una nuova arnia ispirandosi alle casse di Champagne - la cui invenzione cadde invece nell’oblio; nel 2007 è George Savage in Ohio alle prese con il Colony Collapse Disorder, o sindrome dello spopolamento dell’alveare; nel 2098 vive invece Tao, una donna cinese che deve impollinare a mano le piante perché non ci sono più le api a farlo. Acuta lettrice, Tao anni prima si era “imbattuta in una edizione a brandelli de L’apicoltore cieco e mi ero fermata. La traduzione dall’inglese era poco scorrevole e goffa, ma il libro era comunque coinvolgente. Era stato pubblicato nel 2037, pochi anni prima che il Collasso divenisse realtà e quando gli insetti impollinatori non erano ancora del tutto scomparsi dalla faccia della terra. Lo avevo portato alla mia insegnante, le avevo mostrato le fotografie delle arnie e i disegni dettagliati delle api. Erano proprio le api al centro del mio interesse. La regina e la sua prole, semplici larve nelle loro celle, e tutto quel dorato miele di cui si circondavano”.
E in questa lettura amabilissima, a tratti visionaria, si intravede fortemente il rischio a cui andiamo incontro non solo nel non prendere atto, subito, della necessità di preservare la Terra dalla nostra umana incauta presenza, ma anche anche quel che potrebbe accadere nel non tenere insieme l’apiColtura con l’apiCultura, ossia il necessario intreccio che dovrebbe esserci fra pratica apistica di chi alleva api e la consapevolezza e conoscenza del contesto in cui viviamo.
Sembrerebbe scontato ma non lo è, si assiste a un gran parlare di api anche a sproposito e come provocatoriamente afferma Angelo Dettori, apicoltore biologico da tempi non sospetti, forse bisognerebbe chiudere per un po’ i corsi di apicoltura, perché non basta un corso per salvare le api e diventare paladini etici nel business della green economy. C’è da studiare e approfondire tanto, recuperando nessi e saperi, senza semplificare e senza aver paura del confronto, così come con pregio è stato fatto nel volume collettaneo Api buridane a cura di Luigi Manias con cui – volendo prendere questi miei brevi appunti come consigli di lettura – si torna a casa, in Sardegna, con l’intento ambizioso e pur perseguibile spiegato dal curatore: “Le api buridane, transustanziate negli autori, vogliono rappresentare un primo avamposto che tenti di sovvertire una diffusa quanto commendevole vulgata; ovvero che l’universo di riflessione in apicoltura sia ristretto al solo orizzonte tecnico in un risibile excursus che va da A come acariosi a Z come zigrinatore”. Non di sole malattie o di strumentazione, si può e si deve dunque parlare anche fra addetti ai lavori, ma lasciarsi affascinare dalle suggestioni interdisciplinari dove svolazzano le api: Simona Abis, italianista, affonda il suo scalco interpretativo sui densi epigrammi apistici di Guido Ceronetti, dispersi in un epistolario inedito; Ignazio Floris, Vitale Deiana, Claudia Pinna dell’Università di Sassari propongono una sintetica ricostruzione storica dell’apicoltura sarda ma anche un catalogo dove la toponomastica rurale confermerebbe la pervasività dell’apicoltura in un ampio areale della Sardegna; Ilaria Marogiu, storica dell’arte, indaga in “Marginalia. Gli ex libris apistici” i significati riposti di una collezione unica; Greca Natasha Meloni, antropologa, indaga il rapporto tra i corpi, quello dell’apicoltore/trice e quello dell’alveare, ma anche l’insieme di conoscenze che un apicoltore/trice deve possedere per poter svolgere il proprio lavoro; Luigi Manias, apicoltore e tanto altro, a cui si deve il progetto Le api di carta, laboratorio propositivo di respiro nazionale, ricostruisce alcune vicende di storia locale oltre al nome dell’associazione Apiaresos, per poi guidarci nell’opera The bees di Graham Sutherland, fra i più rappresentativi artisti inglesi del secolo scorso, e nei versi della poetessa americana Sylvia Plath che dedicò alle api diversi componimenti prima della sua precoce scelta suicida.
Barbara Bonomi Romagnoli
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