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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ho sempre apprezzato la Bignardi come giornalista, ma ancora non avevo letto alcuno dei suoi romanzi. Stupendo, intenso e vero. Per vicende personali l'ho sentita molto vicina. Consigliatissimo.
Scrivere questa recensione è davvero difficile, perché mi rendo conto che il tema affrontato nel libro è molto delicato, quindi cercherò di essere stringata e veloce. Primo: il libro non parla di ciò che credevo. Dato il titolo mi aspettavo di leggere la storia dell'ansia della scrittrice (argomento che mi interessa molto, essendo io stessa molto ansiosa). Purtroppo arrivata a metà mi rendo conto che l'argomento è stato toccato sì e no due volte e che non è assolutamente punto centrale del romanzo. Non è la prima volta che capita, ma anche in questo caso non ho apprezzato. Secondo: all'improvviso mi vedo piovere dal nulla una n-word davanti agli occhi. Così. Senza alcun problema. Dire che mi sono cascate le braccia è dire poco. Sarebbe davvero il momento di smetterla.
Amo come scrive, scorrevole interessante, una finestra sulla normalità della vita.
Recensioni
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E’ inutile girarci intorno. La Bignardi scrive bene.
Scrive di ansia, come si “intuisce” dal titolo, ma in realtà l’ansia non è altro che un sottile filo conduttore delle vicissitudini di Lea. Come da filo conduttore funge la sua malattia che, anziché farla da protagonista, come banalmente si sarebbe potuto ipotizzare, rimane sullo sfondo quasi ad amalgamare intrecci di famiglie, amori e sentimenti.
Fa riflettere, “Storia della mia ansia”. Sui rapporti umani, su come la difficoltà possa avvicinare le persone lontane ed allontanare quelle vicine. Su come spesso i legami più complicati, quelli più difficili da gestire, quelli meno rassicuranti siano in realtà i più gratificanti. Su come i rapporti veri non richiedano necessariamente continue esternazioni. “Sai che ci sono e fattelo bastare” sembra riassumere l’atteggiamento di Shlomo, marito di Lea. Ed è tutto lì. Poi, fuori da quel rapporto complicato, benchè granitico, è quasi scontato imbattersi in emozioni facili – tutto ciò che è nuovo è facile – trovare conforto in chi i sentimenti li sa manifestare; nell’abbraccio nuovo di chi condivide le tue sofferenze ma nulla conosce realmente di te. E poi realizzare che quel “Sai che ci sono e fattelo bastare” è tutto ciò di cui hai sempre avuto bisogno. Perché magari suona un po’ arido, ma è vero!
Non ho idea di quanto di autobiografico ci sia in questo romanzo. Non amo leggere prefazioni, quarte di copertina o presentazioni. Non ho notizie sulla vita privata di Daria Bignardi. Mi piace tuffarmi nei libri “a mente libera”. Entrare nella storia e riuscire a viverla è ciò che rende emozionante la lettura. Squadrare da vicino i personaggi. Aver voglia di inveire contro Shlomo capace di affrontare a muso duro la sofferenza di Lea urlandole che “Ognuno è responsabile del suo dolore”. Shlomo, il rude narcisista che tutti noi vorremmo, almeno ogni tanto, saper essere. O contro Lea, apparentemente succube di un rapporto a senso unico. Sedersi al tavolo con Luca e godere del suo saper essere giovane, malato e scanzonato.
E quindi poco importa se e quanto ci sia di vero. E’ una storia in cui è facile immergersi. Che scivola via velocemente e, lungo il viaggio, lascia tracce di riflessione. Un bel libro. Brava Daria.
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