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GADAMER, HANS GEORG, Dove si nasconde la salute, Cortina, 1994
COSMACINI, GIORGIO, Storia della medicina e della sanità nell'Italia contemp..., Laterza, 1994
recensione di Bignami, G., L'Indice 1995, n. 2
Come eravamo messi con le malattie e le cure, verso gli anni sessanta, noi sessantotto milioni di italiani regolarmente iscritti alla mutua (sì, sessantotto, sedici in più del totale dei cittadini residenti)? Che parte hanno avuto le trasformazioni della medicina negli scorsi decenni nel cosiddetto miracolo italiano, quello che dopo alterne vicende di sottogoverno, dopo avere ingabbiato nel debito pubblico un anno e un quarto di prodotto interno lordo, è naufragato sugli scogli di Tangentopoli e poi affondato nei gorghi del governo Berlusconi? E dietro la facciata più strettamente socio-economica di uno sviluppo caotico, quali sono state le ricadute culturali e ideologiche di una medicina pseudosocializzata e inefficace, oggi assoggettata al razionamento selvaggio? Dove andrà a battere la mina vagante dei numerosi operatori cui è stata negata una qualificazione e una collocazione appropriata (si pensi, al confronto, al medico di base britannico), di quelli destinati alla disoccupazione a vita, dato che siamo ormai a un medico per meno di duecento abitanti, con un rapporto uno a cinquanta nelle grandi città?
Questo terzo volume della "Storia" di Giorgio Cosmacini (per i precedenti cfr. "L'indice", 1987, n.10 e 1990, n. 4) giunge nel momento più adatto per aiutare a discutere questi e altri dolorosi misteri, dato che in tale discussione spesso dolosamente si nasconde o comodamente si rimuove anche la storia più recente. Diversi capitoli della trattazione sono altrettanti capolavori che andrebbero non solo meditati dalle parti più direttamente interessate, ma anche utilizzati come strumenti di formazione, soprattutto in un momento in cui si stanno lanciando i diplomi universitari per molte figure professionali della medicina e della sanità.
Un primo argomento egregiamente trattato, che attraversa buona parte del libro, è quello delle luci e delle ombre nella cultura medica italiana: una cultura, cioè, che stenta a coniugare l'individuale e il biologico con il sociale e l'antropologico; una cultura che strombazza gli interventi ad alto contenuto tecnologico e di elevato costo (ma monopolizzati da pochi), per lo più svilendo quelli meno spettacolari, meno costosi e mediamente assai più efficaci (da qui anche la riduzione del problema della prevenzione alle prassi di diagnosi precoce); una cultura che spesso confonde le vere e le false innovazioni - svalutando di fatto le prime, spesso coinvolte nella demistificazione delle seconde - per potersi ogni giorno vantare di qualche nuova meraviglia; una cultura, infine, che si spende ad alimentare i miti del paternalismo medico, di una "libertà clinica" che spesso sfocia in vera e propria licenza, di un prodigioso "mercato" in cui la libera scelta di ogni soggetto funzionerebbe da regolatore perfetto di qualità, priorità e giusto costo di ciascuna prestazione.
Le controspinte prodotte nei successivi periodi da varie componenti dello schieramento a vocazione innovatrice sono anch'esse ottimamente documentate e spiegate. Tuttavia, come se avesse prevalso una certa "pietas", o pudore, non sono affatto spiegati i meccanismi che hanno impedito a tali spinte di sortire effetti più consistenti: cioè non è chiarito sino a che punto fossero invincibili gli interessi economici, le difese corporative, i ritardi scientifico-culturali, le cabale di sottogoverno nazionali e locali, e quanto piuttosto abbia pesato l'incapacità, o addirittura la scarsa volontà, di tradurre i modelli innovatori in azione incisiva (e su questa seconda variabile, come i lettori ben sanno, la documentazione non manca, dentro e fuori della palude consociativistica).
In parallelo colpisce il modo spesso indiscriminato con cui l'autore assegna i crediti. Per esempio, come si fa a dichiarare "altrettanto prestigiosi" un Frugoni, un Condorelli e un Di Guglielmo? Sui danni prodotti dall'estremo possibilismo pseudoterapeutico del primo già si è detto recensendo il secondo volume; e chi ha vissuto e sofferto nella Roma degli anni cinquanta, ricorderà come il secondo dei suddetti personaggi fece cacciare poco meno che a calci, dall'Istituto appena conquistato, più di un valente collaboratore e continuatore dell'opera del terzo (l'unico dei tre veramente accreditato dalla comunità scientifica e medica internazionale).
Particolarmente utile risulta l'analisi di come la teoria e la pratica della riforma sanitaria siano state stravolte dalla precedenza strumentalmente accordata alla riforma ospedaliera, discussa per tutti gli anni sessanta e varata nel 1968. Tale precedenza, infatti fu la definitiva sanzione di un "ospedalocentrismo" destinato prima a degradarsi e poi a fare bancarotta, affiancato da una sempre più dequalificata medicina di comunità, quindi concepito per garantire che nascesse morta, dieci anni più tardi, la riforma sanitaria.
Altrettanto utile è l'analisi di come lo sviluppo tecnico-scientifico eserciti una profonda influenza sulla cultura e sugli atteggiamenti di medici e profani. Qui Cosmacini riesce particolarmente efficace nel suo specifico professionale, illustrando il trapasso dalla radiologia classica alla nuova scienza delle immagini ("eidologia medica"), quella che dall'ecografia e dalla TAC in poi ha portato a "una progressiva immissione di intelligenza nello strumento".
Tuttavia, se alcune carrellate sugli sviluppi tecnico-scientifici e le ricadute applicative appaiono ottimamente riuscite, altre risultano superflue per il tecnico, indecifrabili per il profano (per esempio i cenni ai farmaci cardiovascolari). Manca inoltre il difficile messaggio sulla tortuosità dei percorsi tra l'acquisizione di nuove conoscenze scientifiche e lo sviluppo di applicazioni realmente innovative, percorsi che con poche eccezioni impegnano da dieci a cinquant'anni, secondo le più recenti meta-analisi. Pertanto una parte dello spazio "carrellata" si sarebbe potuto più utilmente dedicare ad alcuni dei maggiori interrogativi sollevati dalla storia recente: perché il medico di base in Inghilterra ha sostanzialmente funzionato, da noi invece no? perché sono così importanti gli effetti futili, cioè quelli che modificano positivamente qualche aspetto di una patologia, ma non il bilancio complessivo di vantaggi e svantaggi per i soggetti interessati? perché è così inflazionata l'informazione sull'efficacia in assoluto dei vari interventi, mentre manca quasi del tutto l'informazione sull'efficacia relativa (compreso il rapporto beneficio/costo) delle diverse tipologie di intervento terapeutico o preventivo su di un dato problema? Anche la discussione finale, che riguarda le scelte di priorità a fronte di risorse non solo limitate, ma anche per lo più male impiegate, sfiora appena la prima superficie di questioni gravide di tremendi conflitti, come quelle inerenti al cosiddetto razionamento degli interventi.
Infine Cosmacini dimentica che non spetta a una "Storia" prescrivere ricette per rimediare ai guasti del passato e affrontare i problemi del presente e del futuro. Questa è un'operazione da farsi in separata sede, tanto più quando si hanno competenze di medico e di storico come quelle dell'autore; fatta invece in chiusura di un'opera come questa, danneggia l'opera stessa e le tesi che il suo robusto contenuto indirettamente sostiene
Può apparire bizzarro, a questo punto, relegare in breve spazio una raccolta di saggi filosofico-antropologici di straordinario rilievo come quella di Gadamer. Questi scritti recano sui problemi di salute e malattia e dell'agire medico un pensiero in tutti i sensi forte - anche se sempre problematico, sempre rispettoso delle filiazioni storiche, mai prepotente - ma non agevolmente riassumibile n‚ chiosabile punto per punto. Di qui il tentativo di convincere il lettore, fatto in calce alla recensione di un'opera fortemente attuale come quella di Cosmacini, che dopo tante analisi eccellenti delle contraddizioni della moderna medicina, finalmente disponiamo di un'opera che di tali contraddizioni illumina le profonde radici: un'opera di non agevole lettura, talora ripetitiva da un saggio all'altro, presentata in un'edizione impeccabile, curata e introdotta con notevole professionalità e trasparente amore. Gadamer, rispettosissimo delle conquiste della medicina moderna, spiega innanzitutto come l'applicazione della scienza, che pur rientra nell'ambito della prassi, tuttavia non si identifica con la prassi - che è "anche scelta e decisione tra diverse possibilità e quindi si trova sempre in relazione con l"essere' dell'uomo" - e tanto meno la esaurisce. Nella medicina la componente scientifica non può connettersi come in altri campi con la realizzazione di un'opera ("ergon") ma, intrecciandosi con l"'arte", deve piuttosto porsi al servizio di una "capacità di ristabilire".
Partendo da tali premesse, l'autore fa risaltare il contrasto tra malattia "riconoscibile" (ma ben diversa, come ha sottolineato Rilke, a seconda che sia una delle tante sopportate nel corso della vita, in attesa della guarigione, o viceversa l'ultima) e salute "nascosta", cioè difficilmente afferrabile dai meccanismi della consapevolezza. Quindi cala nella nostra attualità, "mutatis mutandis", il messaggio del "Fedro" platonico, quello che da un lato afferma le distinte specificità della cura dell'anima e di quella del corpo, dall'altro però avverte che n‚ l'una n‚ l'altra possono prescindere della "natura del tutto"; e aggiorna anche, per spiegare lo stretto nesso tra sviluppo medico-scientifico e rimozione della morte, il celebre messaggio del "Prometeo" eschileo: "Spensi all'uomo la vista della morte... Poi lo feci partecipe del fuoco". In ultima analisi, Gadamer, caratterizzando nello specifico della medicina i processi di oggettivazione inerenti al metodo scientifico e alle sue limitazioni, indicando cautamente la strada al recupero dell'uomo (paziente e medico), in un rapporto che esige l'atto tecnico ma non può esaurirsi in esso, ci restituisce attraverso la rigorosa storia del pensiero una convinzione e una fiducia che si erano smarrite. È da auspicarsi che molti, leggendolo, possano ritrovare una tale fiducia nelle possibilità dell'uomo, una tale convinzione che le barriere tra curante e curato siano un costrutto storico e sociale, non una necessità dettata da legge di natura.
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