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Non avevo letto nullo finora in merito alla guerra in Vietnam. Devo dire che ho letto un libro molto interessante ma non troppo pesante alo stesso tempo che mi ha dato una visione completa della scenario pre e post guerra. Il libro è composto da molti capitoli in modo da avere un quadro non troppo dispersivo della situazione. Davvero un gran bel libro. Consigliato!
Si tratta di una buona ricostruzione soprattutto del contesto che sin dagli anni Cinquanta spinse le amministrazioni americane a impegnarsi nel sud est asiatico. Della guerra vengono analizzate più le premesse che lo svolgimento e le conseguenze, nella convinzione centrale e portante che il Vietnam sia un episodio del più generale panorama della guerra fredda. Il libro di Stanley Karnow, fra quanto è disponibile in italiano, rimane decisamente su un piano di maggiore accuratezza e profondità.
Recensioni
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Quello dei francesi e degli americani in Vietnam fu il più lungo conflitto del XX secolo, nonché la prima sconfitta militare a stelle e strisce della storia. In particolare, l'aggressione del Golia statunitense al Davide asiatico negli anni sessanta, beninteso ammantata dei più nobili ideali, deturpò l'immagine degli Stati Uniti in Europa, dove ben poco si sapeva di altre precedenti operazioni americane, che Marc Frey in questo bel libro non cita, dall'intervento Cia in sostegno al blocco conservatore in Iran contro Mossadeq (1953) a quello per tutelare gli interessi della United Fruit Company in Guatemala contro Guzmán (1954). Studioso a Brema, Frey ricostruisce le tormentate vicende del Vietnam muovendosi con disinvoltura fra le dimensioni diplomatica, mediatica e militare. Da quando i francesi, messi sotto pressione dagli indipendentisti vietnamiti, per non perdere le loro prerogative coloniali in Indocina, bombardarono nel novembre 1946 il porto di Haiphong uccidendo seimila civili, fino alla metà degli anni settanta, queste terre non conobbero pace.
Il timore che la Cina cercasse nel Vietnam una leva per espandersi in Asia spinse i vari presidenti americani, nel pieno della Guerra fredda, dapprima a fornire un sostegno finanziario e militare ai francesi, in seguito a imboccare la strategia dalla guerra psicologica, poi quella già ben nota delle covert operations e infine, dai tempi di Kennedy, la linea dura. Goffamente Lyndon Johnson, alfiere della great society, nascose ai connazionali l'asprezza del conflitto, finendo per fargli mancare una direzione centralizzata e renderlo ancora più pericolo. Il Fln vietnamita organizzò una resistenza capillare: riconfigurando l'economia dei villaggi, adottando soluzioni logistiche di notevole efficacia (la rete di gallerie) e reclutando in tutto il paese i combattenti per la libertà, laddove il dipartimento di stato americano li pensava combattenti per il comunismo. Con l'offensiva del Tet (inizio 1968), i vietcong riuscirono a spostare la guerra nelle città, causando agli americani, incollati alle tv, "uno shock collettivo", e alle loro finanze, già barcollanti, un tracollo epocale. La guerra fu impopolare un po' ovunque.
Mentre migliaia di giovani americani si riversavano nelle piazze per protestare, Sartre e Russell mettevano sotto accusa, a Stoccolma, i carnefici di My Lai. Eppure Nixon, di lì a poco, per sottrarre terreno al nemico, non esitò a bombardare perfino la pacifica Cambogia. Benché sia a tutti evidente come nessuna successiva sofferenza del popolo vietnamita sotto il regime comunista possa giustificare la mattanza (quasi tre milioni di morti nelle due guerre e il martirio, sull'altare dell'anticomunismo, di un'intera generazione di ragazzi d'America), Frey osserva che il Vietnam perse la pace dopo aver vinto la guerra, mentre per gli Stato Uniti accadde il contrario, perché impararono la lezione. Opinione per vari versi discutibile. Al volumetto va però il merito di offrire una lineare panoramica sul contesto bellico indocinese lungo i trent'anni centrali del secolo scorso. Daniele Rocca
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