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Anno edizione: 2022
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Uno dei più grandi romanzi del Novecento – dove i «fatti del mondo e il destino delle persone diventano tutt'uno».
«La portata della storia raccontata da Grossman è immensa, contemporaneamente microscopica e panoramica, ed è proprio in questo approccio che risiede la sua potenza narrativa.» - Roberta Frigeni
Quando Pëtr Vavilov, un giorno del 1942, vede la giovane postina attraversare la strada con un foglio in mano, puntando dritto verso casa sua, sente una stretta al cuore. Sa che l’esercito sta richiamando i riservisti. Il 29 aprile, a Salisburgo, nel loro ennesimo incontro Hitler e Mussolini lo hanno stabilito: il colpo da infliggere alla Russia dev’essere «immane, tremendo e definitivo». Vavilov guarda già con rimpianto alla sua isba e alla sua vita, pur durissima, e con angoscia al distacco dalla moglie e dai figli: «...sentì, non con la mente né col pensiero, ma con gli occhi, la pelle e le ossa, tutta la forza malvagia di un gorgo crudele cui nulla importava di lui, di ciò che amava e voleva. Provò l’orrore che deve provare un pezzo di legno quando di colpo capisce che non sta scivolando lungo rive più o meno alte e frondose per sua volontà, ma perché spinto dalla forza impetuosa e inarginabile dell’acqua». È il fiume della Storia, che sta per esondare e che travolgerà tutto e tutti: lui, Vavilov, la sua famiglia, e la famiglia degli Šapošnikov – raccolta in un appartamento a Stalingrado per quella che potrebbe essere la loro «ultima riunione» –, e gli altri indimenticabili personaggi di questo romanzo sconfinato, dove si respira l’aria delle grandi epopee. Un fiume che investirà anche i lettori, attraverso pagine che si imprimeranno in loro per sempre. E se Grossman è stato definito «il Tolstoj dell’Unione Sovietica», ora possiamo finalmente aggiungere che Stalingrado, insieme a Vita e destino, è il suo Guerra e pace.
COME COMINCIA
Il 29 aprile del 1942, in un tripudio di bandiere tedesche e italiane, alla stazione di Salisburgo arrivò il treno del dittatore dell'Italia fascista Benito Mussolini.
Dopo la cerimonia di prammatica, Mussolini e i suoi accoliti si diressero al vecchio castello di Klessheim, antica residenza dei principi vescovi del luogo.
Lì, nei grandi saloni freddi riammobiliati di recente con arredi sottratti in Francia, si sarebbe tenuto l'ennesimo incontro fra Hitler e Mussolini, mentre Ribbentrop, Keitel, Jodl e altri collaboratori stretti del Führer si sarebbero confrontati con i ministri che avevano accompagnato il duce: Ciano, il generale Cavallero e Alfieri, l'ambasciatore italiano a Berlino.
I due sedicenti padroni dell'Europa si incontravano ogni volta che Hitler predisponeva una nuova sciagura nella vita dei popoli. Le loro conversazioni a quattr'occhi sulle Alpi al confine fra Austria e Italia portavano puntualmente a un'invasione, a manovre diversive di portata continentale e ad attacchi di fanteria motorizzata con relativo dispiegamento di milioni di uomini. I resoconti anemici che i giornali riservavano agli incontri fra i due dittatori contribuivano a riempire i cuori di un'attesa spasmodica.
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Il 29 aprile 1942 Mussolini Hitler s’incontrano alla stazione di Salisburgo. Hitler pianifica grandi conquiste in Europa e in Russia e pertanto reintroduce la leva militare e s’impadronisce dei liberi paesi post-Versailles: Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia. Poi, nel giugno 1941, invade la Russia. Qui s’innesta il racconto della famiglia Saposnikov. Quando Pëtr Vavilov, un giorno del 1942, vede la giovane postina attraversare la strada con un foglio in mano, puntando dritto verso casa sua, sente una stretta al cuore. Sa che l’esercito sta richiamando i riservisti. Il 29 aprile, a Salisburgo, nel loro ennesimo incontro Hitler e Mussolini l’hanno stabilito: il colpo da infliggere alla Russia dev’essere "immane, tremendo e definitivo». Vavilov guarda già con rimpianto alla sua isba e alla sua vita, pur durissima, e con angoscia al distacco dalla moglie e dai figli. È il fiume della Storia, che sta per esondare e che travolgerà tutto e tutti: lui, Vavilov, la sua famiglia, e la famiglia degli Šapošnikov – raccolta in un appartamento a Stalingrado per quella che potrebbe essere la loro «ultima riunione» –, e gli altri indimenticabili personaggi di questo romanzo sconfinato, dove si respira l’aria delle grandi epopee. Il romanzo in realtà è di gran respiro: ben 844 pagine in fitti caratteri nell’edizione della biblioteca Adelphi. Ma ne vale la lettura, anche se la trama è complessa e impegnativa.
Opera monumentale. La descrizione della guerra vista dal popolo comune e non certo dalla parte dell’esercito o della nobiltà. È l’operaio, il minatore, il fisico, la casalinga, il chirurgo, il kolchoziano con tutte le loro emozioni, le loro fragilità e sentimenti a dare la portata umana e reale della tragedia che ha sconvolto l’Europa nel 1940. Pochissime pagine sono dedicate a Hitler (forse 10 su 900); nessuna a Stalin. È evidente che Grossman ha vissuto in primissima linea, come corrispondente di Stella Rossa, la battaglia di Stalingrado. Era infatti forse l’unico giornalista sulla sponda destra del Volga (quella massacrata dai tedeschi) da cui ha potuto prendere atto del massacro subito dall‘ Armata Rossa pur di essere fedele all’ordine di Stalin “nessun passo indietro”. Il titolo della prima pubblicazione dell’opera voluta dal regime era “per una giusta causa”. Titolo sempre rinnegato da Grossman ma, a mio modesto parere, molto più calzante e adatto in quanto le vite russe sacrificate per contrastare l’avanzata nazista sono state una giustissima causa. Quello che emerge dal libro è esattamente questo: una presa d’atto del popolo sovietico che la difesa della libertà è sempre una giusta causa. Nessun passo indietro appunto. Alcuni passaggi sono strazianti come le pagine dedicate all’ orfanatrofio di Stalingrado e le descrizioni umane ed emotive della sparuta divisione russa sacrificatasi per la difesa della stazione di Stalingrado pur di non fare un passo indietro. Libro nel complesso molto impegnativo per la mole, la densità delle descrizioni e la quantità impressionante di personaggi. Molti di questi verranno ripresi nella seconda parte della dilogia “Vita e destino” opera questa ben più nota e famosa. Complimenti a Claudia Zonghetti per la traduzione.
Ho comprato subito il libro, ma ho esitato molto prima di cominciarlo. Per quale motivo? "Vita e destino" si agitava ancora nella memoria come qualcosa di leggendario, una pietra miliare nella mia avventura da lettore. Credevo e temevo che questo potesse essere un'appendice non richiesta, non motivata dallo stesso amore che aveva reso "Vita e destino" un capolavoro impareggiabile (quante volte ho riletto le prime pagine, i primi capitoli!). E invece sono bastate pochissime pagine per farmi ricredere. Qui si agita lo stesso moto di ribellione, la stessa capacità di rendere poetica ogni parola, persino quella più intrisa di sangue, di sana ribellione contro un moto che continua a sfuggirci. Qualche anno fa, Serena Vitale aveva detto di Grossman che possedeva il "passo alla Tolstoj". Aveva pienamente ragione. Di più: nelle lunghe narrazioni, e soprattutto nelle scene belliche e nella descrizione dei nemici, Vasilij vanta qualità che sfuggono al divino Tolstoj. Leggere per credere.
Recensioni
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