Le vicende affascinanti della presenza arabo-islamica in Italia costituiscono un campo in cui la storiografia italiana ha prodotto frutti straordinari: dall'insuperata (e forse insuperabile) Storia dei musulmani in Sicilia di Michele Amari, mirabilmente annotata da Carlo Alfonso Nallino, alla grande opera di sintesi sugli Arabi in Italia curata da Francesco Gabrieli e Umberto Scerrato. Accanto a questi capolavori, si collocano poi un gran numero di saggi dedicati ad aspetti regionali (i musulmani in Calabria, in Basilicata, in Puglia, nel Lazio ecc.) e alcune opere di divulgazione di qualità non sempre eccelsa, in cui spesso trionfa lo stereotipo e il racconto storico si stempera nel mito del malvagio "saraceno" assetato di sangue. Erano però molti anni che le maggiori case editrici italiane non pubblicavano un libro dedicato al tema in questione, e dunque la nuova storia dell'Italia musulmana di Amedeo Feniellova a riempire un importante vuoto bibliografico. Ciò ha spinto la casa editrice Laterza a dedicare particolare attenzione al lancio dell'opera, addirittura con la produzione di un suggestivo booktrailer, visibile sul suo sito.
Il saggio si compone di sei capitoli che conducono il lettore in un viaggio nello spazio e nel tempo che ha inizio il 21 maggio 878 nella Siracusa assediata dalle truppe islamiche e si conclude il 27 agosto 1300 con la deportazione degli ultimi musulmani dall'insediamento di Lucera, dove essi erano stati installati da Federico II, trattando temi-chiave come la conquista araba della Sicilia, le problematiche legate al ǧihād, l'integrazione dell'economia dell'Italia meridionale nell'universo commerciale islamico. L'intento di Feniello è palesemente quello di offrire al pubblico un'opera di alta divulgazione (in conformità alle caratteristiche della collana che ospita l'opera), che tuttavia non rinunci a tirare le fila dei più recenti dibattiti storiografici sugli argomenti trattati: e, in effetti, la bibliografia secondaria è selezionata con cura ed estremamente aggiornata.
Il vero problema del libro è la totale assenza di un rapporto diretto dell'autore con le fonti arabe medievali, rapporto che in una storia dell'"Italia musulmana" dovrebbe invece costituire un elemento irrinunciabile. Il numero esorbitante di errori di traslitterazione e di equivoci terminologici (cui si aggiungono, in maniera assolutamente inusuale per la casa editrice, alcuni fastidiosi refusi: si veda ad esempio alle pp. 186, 187, 188, 190) e l'uso quasi esclusivo della Biblioteca arabo-sicula (l'antologia di fonti arabe medievali concernenti la Sicilia e l'Italia meridionale redatta da Amari nella seconda metà dell'Ottocento) per le citazioni degli storici e dei geografi arabi sembrano infatti indicare che l'autore non dispone di una conoscenza della lingua araba adeguata ad affrontare l'analisi dei testi originali. Tale limite conduce purtroppo Feniello a numerosi fraintendimenti, che in una sintesi destinata a un pubblico più vasto di quello degli addetti ai lavori sono ancora più gravi e deprecabili degli errori contenuti in un saggio erudito.
Ci limiteremo qui a fornire due esempi macroscopici, che gettano una luce non propriamente lusinghiera su tutta l'opera: a p. 114, Feniello, descrivendo la situazione di Napoli tra IX e XI secolo, ci informa del fatto che l'archeologia vi ha rintracciato "addirittura testimonianze della presenza di un imam". Se così fosse, si tratterebbe di una scoperta davvero straordinaria: un imām napoletano conservatosi sino a noi costituirebbe materia di notevole interesse per antropologi fisici e studiosi dei riti di sepoltura islamici. Purtroppo però la curiosità suscitata dall'autore nei suoi lettori è destinata a rimanere delusa: quello di cui si parla qui è in realtà un ḥammām, cioè una terma, che Feniello ha confuso con l'imām, guida della preghiera musulmana. Ma questo sia pur bizzarro equivoco è un peccato del tutto veniale se paragonato a ciò che l'autore afferma a proposito di uno studio di Stefano Del Lungo sulla presenza musulmana nel Tirreno centrale e settentrionale nell'alto medioevo (Oxford, 2000). Feniello, infatti, alle pp. 263-264, lo definisce un "accurato censimento delle fonti" per la storia delle incursioni musulmane in Sicilia e in Italia meridionale. In effetti, il lavoro di Del Lungo è assai accurato ed estremamente dettagliato, e tuttavia esso desume la gran parte dei suoi dettagli documentari dal falso Codice Diplomatico di Sicilia sotto il governo degli Arabi. L'"arabica impostura" dell'abate Giuseppe Vella (1749-1815), resa celeberrima dal Consiglio d'Egitto di Leonardo Sciascia, continua ancora oggi a mietere vittime. Ha scritto Claudio Magris che una buona divulgazione invita ad approfondire l'originale. Nel nostro caso, non sarebbe forse stato male che questa operazione di approfondimento l'avesse fatta il divulgatore.
Marco Di Branco
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