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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2014
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Quando il suo corpo viene trovato nel parco cittadino di via Ippodromo, a Ferrara, Federico Adrovandi è solo un ragazzo di 18 anni, non è “un pazzo di 100 chili”, come dice la polizia. È il 24 settembre 2005, Federico e i suoi amici sono partiti da Ferrara per andare in un famoso locale, il Link di Bologna, per sentire un concerto che alla fine, per problemi tecnici, non ci sarà. I ragazzi nel frattempo hanno preso qualcosa, pasticche, “francobolli”, due. E poi sono rimasti per un po’ a zonzo per la città, per smaltire prima di rientrare a casa. La prima chiamata alla polizia arriva intorno alle cinque di mattina da un residente di via Ippodromo a Ferrara: nel parco c’è qualcuno che sta urlando e si dimena, sveglia i cittadini e spaventa i bambini. La polizia accorre, sono due agenti all’inizio, quattro alla fine. Federico è solo e sta male, chiede aiuto.
A questo punto le testimonianze diventano contraddittorie. Da dietro i vetri qualcuno spia. Pare che la polizia stia cercando di ammanettare il ragazzo, ma non ce la fanno a farlo stare fermo. Mezz’ora dopo è morto. Patrizia Moretti e suo marito Lino vengono avvisati dalla polizia al mattino presto, non si può spiegare cosa sente una madre alla morte del figlio. I ricordi sono confusi, le facce dei poliziotti indistinte, le spiegazioni laconiche, all’obitorio Patrizia e Lino intravedono il corpo di Federico disfatto, contuso, storpio, come se fosse stato investito da un’auto. È questo che pensa subito Patrizia: pensa a un incidente mortale. In realtà sin da subito la polizia si affretta a cercare un’altra spiegazione, le prove del fatto che Federico è un tossicodipendente, morto per overdose.
Il dolore indicibile della perdita di un figlio si somma allo sdegno per un’accusa ingiusta, alimentando la reazione indignata di una madre che in tutti questi anni non ha mai smesso di rivendicare giustizia e verità per suo figlio. Abbiamo letto pagine e pagine sul blog Indymedia, quello sorto dopo i fatti del G8 di Genova, l’abbiamo vista nelle piazze insieme a Beppe Grillo e in sit in davanti ai tribunali, con la foto del suo bellissimo ragazzo sempre in mano. Abbiamo provato pena e ammirazione per lei, una madre che si è fatta portavoce di tutti i ragazzi ingiustamente puniti dalla polizia, uccisi di botte e fatti passare per tossici, mentre erano solo ragazzi impauriti. Oggi Patrizia Moretti affida a questo libro inchiesta, scritto con la psicoanalista Francesca Avon, il racconto della sua battaglia.
Dal primo processo contro i quattro poliziotti che hanno malmenato Federico, finito con la condanna, alla denuncia subita da parte del Coisp, una delle sigle del sindacato di Polizia, che l’ha accusata per diffamazione per aver fatto i nomi dei poliziotti durante una trasmissione radiofonica. Dalle interrogazioni parlamentari fino alle testimonianze delle altre vittime di violenza, come Stefano Cucchi, in queste pagine troveremo il racconto dettagliato della mobilitazione che Patrizia Moretti ha saputo innescare nella società civile italiana.
Una storia che, se non fosse suffragata da testimonianze e carte di tribunali, sarebbe incredibile. Un diario intimo e coraggioso che racchiude in sé la crudezza di una realtà amara, ma anche molte parti di struggente poesia.
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